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Come sbattere e arricciare il polpo alla maniera pugliese

domenica, 24 Giugno 2018 di

Come bollire il polpo per preparare una perfetta insalata di mare lo sapete da questa ricetta.

E conoscete anche il procedimento per preparare il polpo in padella.

E ora potete mettere in dispensa anche l’antico sistema per rendere morbido il polpo, sbattendolo alla maniera pugliese.

In Puglia, i pescatori, soprattutto baresi, molesi e molfettesi, custodiscono un antico rito, una conoscenza che da quelle parti è considerata un vero e proprio privilegio. E’ un culto primitivo, pagano, un gesto tramandato nei secoli. Dopo averlo pescato abbastanza agevolmente con mani predatrici, il polpo andava morso sulla testa e “sbattuto” violentemente sugli scogli per tramortirlo. Addentato, quel polpo dovette sembrare una tenera mandorla fresca ai primi pescatori che diedero inizio a quella che oggi nel barese è definita l’arte dell’arricciatura del polpo, del Pulpe rizze (polpo riccio).

Non credo vi sia in un’altra parte del mondo qualcosa di simile. Persino io, fedele al credo “crudo è natura, cotto è cultura”, sono rapito (per la verità senza opporre resistenza) dalla passione per U ccrute, il crudo. Perché è così (come il più famoso sushi) che una volta arricciato va mangiato il polpo.  Questa singolare pratica vanta un’infinita schiera di “patiti” estimatori, ma anche i novelli che per la prima volta si affacciano a questa esperienza ne rimangono conquistati.

Per mangiare il polpo arricciato occorrono polpi piccoli, di pochi etti, e soprattutto di scoglio (pulpe de pète) nel periodo estivo in cui i giovani esemplari si mantengono nelle acque basse e ricche di scogli in cui si rintanano. Sono i pescatori più abili a perlustrare i fondali utilizzando secchi con il fondo in vetro per stanarli.

Oltre al Polpo, comunemente detto anche Verace o di Scoglio, esistono due altri Cefalopodi simili nell’aspetto ma di altra destinazione a tavola. Uno è la cosiddetta Polpessa, che non è la femmina del polpo ma tutto un altro animale di aspetto più sfilato, di colore marrone e punteggiato di bianco; l’altro è il Moscardino, animale che da adulto resta molto più piccolo, in genere meno di mezzo chilo, per cui quelli che sembrerebbero dei piccoli e pregiati polpi giovani, sono invece individui adulti, piuttosto coriacei, destinati alla cottura; si distinguono facilmente guardando le ventose sui tentacoli: nel polpo sono disposte su due file parallele, mentre nei moscardini sono su un’unica fila.

Per preparare un vero polpo arricciato è necessaria una lunga e paziente preparazione di circa due ore, che si divide in quattro fasi.

  1. Sbattitura del polpo su di uno scoglio: questa fase ha termine quando il polpo toccando terra non si “ritira” più, segno dell’avvenuto intenerimento delle carni.
  2. Battitura del polpo con una paletta di legno piatta.
  3. Strofinamento del polpo su di uno scoglio e contemporaneamente agitatura in acqua di mare dello stesso.
  4. Cullatura, del polpo posto in un cesto piatto di rami di ulivo, detto “spase”, e fatto biciancolare in un altalena che va da un bordo all’altro del cestello. In questa fase il polpo assume un aspetto riccio da cui deriva la definizione di “arricciatura”.

Questa lavorazione ce la descrive molto bene in un suo scritto Mimmo Modarelli, cultore di cucina della tradizione meridionale ed appassionato di questa antica arte.

“… i polpi dopo la normale pulizia, che avviene con il semplice rivoltamento del mantello del capo e l’asportazione delle interiora, vengono sbattuti violentemente su una superficie dura, spesso gli stessi scogli. Questo dura finché i polpi non si snervano, diventando morbidi e allungandosi notevolmente.

Si passa a batterli con una paletta di legno, poggiati su una superficie dura e liscia, si snerveranno ancora e rilassandosi si allungheranno ancor più.

Ora li si agita in acqua di mare, finché cominciano ad accennare un certo arricciamento dei tentacoli, comincia la trasformazione inversa.

Ora, roba da non crederete, dopo tutto questo maltrattamento, per farsi perdonare il pescatore mette i polpi in un cestino piano, appositamente intrecciato, con un bordo adatto, e dolcemente li rotola e culla. Questa operazione li farà richiudere su se stessi a palla, arriccerà i tentacoli e li renderà croccanti e scrocchianti. Basterà una strizzata di limone e sarà ottimo da mangiare, lo si potrà anche condire con pepe ed olio, mai sale perché tutti i cefalopodi contengono molta acqua, che naturalmente è di mare e salata”.

La pratica dell’arricciatura consente anche di adagiare i polpi direttamente sulle griglie di un BBQ. Lungo il litorale, questi “fiori di mare” vengono addentati senza alcun pudore diventando lo street food preferito di numerose sagre durante il periodo estivo.

Alla vendita è associata anche una pratica di cottura che accompagna da sempre questo cefalopode: il “tappo di sughero”. In passato, in alcuni mercati del sud, la tradizionale vendita avveniva con i polpi già cotti. I  “polpari” cuocevano i polpi in grandi pentoloni fumanti e man mano che i polpi venivano venduti ne aggiungevano altri legati con uno spago ad un sughero (spesso lo stesso sughero usato per le reti dei pescatori) contrassegnato da un segno diverso. Il polparo sapeva a quale sughero era legato il polpo e quindi lo tirava su cotto alla perfezione. Le massaie hanno creato in seguito un mito cercando in quei tappi di sughero il segreto per la giusta cottura del polpo.

Per cucinarli a casa senza ricorrere alla pratica dell’arricciatura, i polpi appena pescati vanno tenuti almeno qualche giorno in freezer per intenerirli quasi come una normale frollatura. Basterà poi scegliere il tipo di preparazione, ma l’importante è non superare mai i  97 gradi, la temperatura che fa perdere la pelle, come mostra la foto.

Una delle tecniche utilizzate per ovviare a questo inconveniente è adagiare il polpo in pentola con l’acqua fredda sufficiente a coprirlo, far raggiungere il punto di ebollizione dell’acqua e spegnere la fiamma, poggiando il coperchio sulla pentola come facevano i “polpari”. L’acqua nei loro pentoloni non bolliva mai. Sarà sufficiente rivoltarlo di tanto in tanto e tirarlo fuori dopo un ora e mezza, due ore, dipenderà dal peso (per non sbagliare, controllare con i rebbi della forchetta).

Polpo. Come cucinarlo per un’insalata di mare indimenticabile

Questa cottura trova il suo fondamento in un antico adagio che vuole il polpo cotto su una fiamma pari a quella di una candela: le bolliture violente induriscono irrimediabilmente le carni del polpo ed è proprio questo da evitare per avere un buon polpo, tenero ed umido. Un ulteriore dettaglio che contribuisce certamente ad avere un ottimo risultato è tagliare i tentacoli non a rondelle come spesso si fa per l’insalata di polpo, ma di praticare un taglio obliquo che  renderà  la carne del polpo ancora più morbida. Proprio come per le carni che vengono tagliate seguendo il verso perpendicolare alle  fibre.

Un’ultima nota. Se vi recate a Bari per assaggiare il polpo, fate attenzione al ristorante quando magari ordinerete anche  delle “tagliatelle”. Vi serviranno delle seppioline crude arricciate che spero non vi creino imbarazzo. In un sol boccone gusterete un cibo che ha tutto il sapore e la storia di questa terra legata al mare.

[Testo e immagini: Gianni Ferramosca. Immagini polpo e cesto: Mimmo Modarelli. Altre immagini: Scatti di Gusto]