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Olio extravergine di oliva Garda DOP: 10 cose da sapere

mercoledì, 02 Ottobre 2019 di

Tra cibo e cultura, così ci piace condire il tempo. L’evento WardaGarda a Bardolino ha messo l’olio EVO al centro per due giorni. Ma a noi l’olio interessa sempre e diligentemente lo mettiamo sul buon cibo e nelle pagine digitali di Scatti di Gusto.

Oggi vi diamo 10 gocce foodcultural, appunto, mescolando così cultura cibaria e cibo per la mente.

Come ha spiegato Laura Elisa Turri, tenace e gentile presidente del Consorzio di Tutela Olio Extra Vergine di Oliva Garda DOP e recente vincitrice con la sua azienda di un doppio riconoscimento di un Orciolo d’Oro: “l’olio del Garda è unico per 3 fattori: clima, cultivar e savoir-faire umano”.

1. L’Olio del Garda è un pezzo di storia. E di geografia

Sulle sponde del lago di Garda crescono gli ulivi da oltre 2000 anni. L’area geografica interessata copre 4 province – Brescia, Mantova, Trento, Verona – e 3 regioni. Le cultivar gardesane sono soprattutto casaliva, frantoio, leccino, pendolino (bellissimi anche i loro nomi dialettali come drizzar etc) e la loro resa cambia da riva a riva con la composizione del suolo, l’esposizione degli uliveti, i vari microclimi.

2. L’extravergine del Garda è una DOP

Gli oli extravergine del Garda hanno un profilo sensoriale di media o leggera intensità: non sono amari, non sono piccanti. Esprimono profumi freschi – come erbe, carciofo, mandorla e ancora pomodoro, frutta bianca – e la loro delicatezza è il loro pregio. Il Consorzio aggrega ora 480 produttori. Attenzione alle diciture: la parola Garda non è un passepartout che garantisce territorialità e qualità al contenuto di una bottiglia. La dicitura corretta è Olio Garda DOP.

3. L’olio del Garda è figlio del vento

Perdonatemi l’enfasi poetica del titolo. Ma è vero che il vento fa parte del genius loci, lo spirito del luogo che è atmosfera ma anche clima meteorologico. Sentite i nomi dei venti che spirano sul Garda e tra le foglie degli ulivi con gioia o disperazione degli olivicoltori: Pelèr, Suer, Ora, Fasanella, Boaren, Andèr, Vinessa (= da Venezia), Gardesano, Montes, Visentina (= da Vicenza).

4. L’olio va tenuto al buio

Noi invece non dobbiamo rimanere all’oscuro delle buone pratiche: l’olio extra vergine si conserva in luogo buio e fresco – la temperatura ideale è intorno ai 15°. Non lo si tiene da parte come un vino messo a invecchiare: l’olio teme il tempo e va consumato entro l’anno. Attenzione: l’olio acquistato in ottobre difficilmente è l’olio nuovo, ma quello dell’anno precedente al limite della sua miglior condizione. Leggere sempre l’etichetta con occhi di falco.

5. L’olio si degusta in crescendo. E “masticando”

All’interno di una qualsiasi famiglia di olio, dal lieve al forte, vale sempre la regola di degustare in crescendo. Emergeranno le pur sottili differenze. Per non strippare (l’atto di far passare l’aria tra i denti) troppo e con troppo rumore durante l’assaggio, si può seguire il consiglio dell’oleologo Luigi Caricato e “masticare” l’olio: la ptialina contenuta nella saliva aiuta gli aromi ad esprimersi.

6. Di olio, un filo. Quello giusto

Quando abbiamo parlato di aceto balsamico, l’idea era che ne bastano poche gocce. Ora che parliamo di olio, ne raccomandiamo un filo. Perché se l’olio è quello giusto non deve prevalere sul cibo: deve esaltarlo. Di solito le scelte riuscite sono basate sulla somiglianza aromatica. E per decidere quale olio su quale cibo? Annusare, assaggiare, preferibilmente in purezza e con lentezza. Io sono della scuola di pensiero per cui l’olio si assaggia da solo, non sul pane.

7. Olio o burro?

Il mondo gallo-romano ha lasciato anche l’eredità commerciale e culturale dell’olio alla Francia. Così nella cucina d’oltralpe domina il burro a Nord e l’olio a Sud – olio usato anche per l’illuminazione, non dimentichiamo. A noi incuriosisce però un sarcofago romano che raffigura la raccolta delle olive in cesti e con l’ausilio delle scale, da alberi piuttosto alti, un po’ come quelli del Garda.

8. Olioturismo, la forza dell’indotto

Olio, uliveti, frantoi, territori, turismi. Se è vero che in Sardegna esiste il Raid degli Ulivi (inventato da una curiosa associazione/agenzia chiamata Pastori in Moto), sul Garda il sempre più attivo cicloturismo – sia purista sia in e-bike – si sposa perfettamente con la visita ed esperienza degli uliveti locali. E non è solo questo: l’olioturismo è una parte sempre più spendibile del turismo enogastronomico e di un indotto allargato, anche cosmetico e naturalistico, sempre responsabile e sostenibile.

9. L’olio sul gelato e il gelato all’olio

Ah, le mode! Vi sarà capitato il gelato all’olio come accento su una portata o stacco tra due parti di una degustazione, come pre-dessert o dessert. È un gelato in cui l’olio, una delle materie grasse, passa attraverso raffreddamento e mantecatura. Ma avete provato l’olio sul gelato? Lasciate cadere alcune gocce di Olio del Garda o di un fruttato lieve-medio su una pallina di gelato alla vaniglia di baccello. L’effetto? Aromi vanigliati moltiplicati a mille.

10. Come l’olio sul cioccolato

Lo so che il titolo originale del film era “Come l’acqua per il cioccolato.” Ma un olio delicato, dal fruttato lieve o medio, è come un detonatore di aromi per il “cibo degli dei”. Da provare perciò preparando fettina di polenta caldissima, cosparsa di una grattugiata di fondente amaro. E subito due assaggi, per poter fare un confronto – uno così com’è e uno con qualche goccia d’olio Garda DOP sul cioccolato. Sentita la differenza?

Siamo seduti sull’oro-olio, vogliamo accorgercene?

PS: Dove gustare l’olio del Garda? A WardaGarda ne hanno parlato, tra gli altri, gli chef Paolo Forelli dello Speckstube di Malcesine e Simone Gottardello dell’EVO di Bardolino. All’Hotel Caesius sempre di Bardolino, l’olio locale entra anche nelle ricette salutistiche e ayurvediche della carta.

Ma se siete sul Garda, perché non affacciarvi alla cucina stellata e coltissima di Riccardo Camanini?

[Immagini: iPhone di Daniela; ritratto di L. Turri credits Francesco Sorbini; Studio Cru]

Di Daniela Ferrando

Milanese, trent’anni di copywriting e comunicazione aziendale. Le piace che il cibo abbia le parole che merita: è cultura. Parlando molto e mangiando poco, non si applica nel suo caso il “parla come mangi”.