mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

I piatti del Cacciatori di Cartosio, quasi uguale a se stesso dal 1818

martedì, 10 Dicembre 2019 di

Se qualcuno mi chiedesse di categorizzare l’albergo-ristorante Cacciatori di Cartosio, in provincia di Alessandria, inizierei a sottolineare che vanta oltre duecento anni di storia.

E, cosa abbastanza rara nel panorama italico, dal 1818 è sempre stato gestito dalla stessa famiglia, quella dei Milano, di cui Massimo rappresenta la quinta generazione.

Potrei anche ricordare la sua presenza costante fin dalla prima edizione di quella “pietra miliare” che è la guida edita da Slow Food Osterie d’Italia, presenza con chiocciola confermata anche per il 2020, ma potrei far notare anche la continuità della guida al femminile in cucina, o magari la presenza, fin dal 1952, di una fantastica stufa a legna, su cui ancora oggi si cuoce praticamente tutto.

E sia chiaro, qui, a una quindicina di chilometri da Acqui Terme, ci si deve voler venire. Cartosio, piccolo comune di circa 800 abitanti nella zona del Piemonte orientale, al confine con la Liguria, non è sicuramente tra le mete turistiche più richieste ed ha la più vicina uscita autostradale a circa quaranta chilometri.

Insomma questo piccolo miracolo va sicuramente spiegato, e per farlo necessita mettere un po’ d’ordine.

1. La storia

La famiglia Milano arriva a Cartosio, da Novara, nel 1652, come attestato dagli archivi storici della parrocchia, gli stessi dove è stato ritrovato un vecchio documento che indica nel 1818 la data d’inizio della licenza di Hosteria del Popolo, un’attività che viene portata avanti negli anni e che diventa Trattoria Cacciatori, in nome dei clienti che ne avevano fatto il loro punto di riferimento dopo la battuta di caccia.

Clientela che fino al secondo dopoguerra rimane pressoché inalterata. Sarà l’apertura delle Terme della vicina Acqui a segnare uno dei primi importanti “cambi di rotta”: è la volta degli ospiti stranieri, che arrivano da tutta Europa apprezzando la cucina genuina, ma attenta, del Ristorante Cacciatori. Quella di nonna Maria, ripresa dalla signora Carla, che ha guidato per anni il locale assieme al marito Giancarlo. 

Non era ancora l’epoca delle autostrade e per andare in Liguria, verso il mare di Ponente, si passava da qui. Erano gli anni Sessanta, caratterizzati da intensi flussi commerciali e turistici. Flussi che riguardavano tutta la popolazione, e che secondo alcuni racconti sono all’origine della presenza in sala di diverse opere di esponenti dell’arte informale italiana: opere donate da clienti, o più semplicemente amici, della famiglia Milano, persone in movimento che facevano tappa qui.

È del 1985 un primo cambiamento: si riducono i coperti, si ristrutturano gli ambienti. Ciò che non cambia è la cucina, che continua a proporre i piatti della tradizione con la stessa passione di sempre.

Nel 2018, quando il Ristorante Cacciatori compie 200 anni, si decide di renderlo ancora più bello, affidando all’architetto Piero Castellini Baldissera la ristrutturazione degli interni, segnando così il definitivo distacco dalla dimensione della trattoria. Nasce un ambiente caratterizzato da una calda e raffinata semplicità, dove trova il giusto posizionamento una sobria ed al tempo stesso elegante mise en place con tovagliato Rivolta Carmignani, posate Broggi, bicchieri Zafferano, calici Riedle e piatti Richard Ginori.

2. I nuovi protagonisti

In sala c’è Massimo Milano, gli studi di Economia e Commercio presso l’Università di Genova lasciati quando la passione per il lavoro e il legame con l’attività di famiglia hanno avuto il sopravvento, decidendo così di affiancare genitori e nonni al Ristorante.

La gestione del ristorante lo ha portato ad avere un contatto diretto con i produttori di vino e a visitare le più famose cantine in Italia e all’estero, ma anche ad apprendere tutti i segreti della gestione della sala. E oggi accoglie i clienti facendoli sentire come a casa, affascinandoli sapientemente con racconti che spaziano tra cibo, vino, materie prime.

Ai fornelli c’è Federica Rossini, originaria di Tortona, un passato da consulente di analisi sensoriale, attività che abbandona quando conosce il suo futuro marito, ovvero Massimo, che sposerà nel 2010, decidendo di tuffarsi fin da subito nella nuova avventura: entra in cucina nel 2009, dopo aver appreso i segreti del mestiere dalla suocera, prendendo il timone solo nel 2013.

3. La stufa a legna

Non si tratta in alcun modo di una scelta “modaiola”, ma solo la prosecuzione di un percorso intrapreso tempo fa. Nonostante la presenza, per certi versi inevitabile, di apparecchiature più moderne, la vecchia stufa a legna è da circa settanta anni l’autentico fulcro della cucina, dove passano le cotture che, a seconda della distanza dal bruciatore – spiega Federica – risultano più o meno “slow”.

“Inutile puntualizzare che si tratta di strumento che ha necessitato conoscenza, ma di cui non ho alcuna voglia di sbarazzarmi, anzi – sentenzia Federica – spero mi accompagni ancora per molto tempo.”

4. La cucina

È sorprendente, per linearità, semplicità, piemontesità.

Gli impiattamenti essenziali e davvero lontani dalle mode, le materie prime selezionate quasi tutte da piccoli ed attenti produttori locali, la stagionalità seguita senza compromessi, tutto per preparare piatti “della memoria”, simbolo di una cucina autentica che non è mai passata di moda.

Nel menu, dove non trova posto alcun “possessivismo” di sorta (insomma non troverete mai le parole “mio” o “nostro” oggi tanto abusate), autentici caposaldi come il pollo alla cacciatora, che viene messo in cottura solo dopo aver preso la comanda, in stagione il capretto di Roccaverano cotto nel forno a legna oppure la faraona, ma anche antipasti come le zucchine ripiene, o i tagliolini al pomodoro (conserva fatta in casa).

E muovendosi la cucina tra disponibilità e stagionalità, si potranno avere sempre un buon numero di fuori carta, come per il nostro pranzo stampa.

Allo strepitoso salame cotto ha fatto compagnia il bagnetto caldo monferrino, che ricorda i sentori della giardiniera di verdure.

Il cardo gobbo di Nizza è stato accompagnato da una eccellente bagna cauda, equilibratissima.

L’involtino di verza si è contraddistinto per il bilanciatissimo ripieno.

Fantastica la zuppa di cipolle piatline di Andezeno, servita in crosta.

Molto, forse troppo, delicati, i ravioli con sugo di arrosto.

Meravigliosamente cotto il gallo al vino, accompagnato da cipolle e funghi porcini, frutto di tre cotture separate assemblate solo poco prima di essere servito.

Eccellente la chiusura con le Pere Martin Sec cotte nel vino rosso e con il Gelato di marroni.

5. La cantina

Il legame con il territorio è evidente anche nella carta dei vini, selezionati con cura da Massimo, tra le cantine di Langhe, Roero e Monferrato, con uno sguardo che va anche oltre i confini della regione.

Un totale di 380 referenze, da scoprire e abbinare ai piatti della tradizione. Con la possibilità di ben 22 verticali di grandi rossi del Piemonte.

E anche la carta dei vini, come la cucina, è lontana da mode e modernismi, con l’unica eccezione, se così si può definire, dei vini di Walter Massa, il signore del Timorasso – che poi è la persona che ha fatto incontrare Federica e Massimo.

C’è un menu degustazione Premiate Trattorie Italiane con due calici di vino a 50 € (45 € senza vino), una specie di riassunto-memorandum di come si mangia in trattoria; la carta (antipasti 6-10 €, primi 12-13 €, secondi 15-22 €) si muove sulla stessa linea, classica e moderna ad un tempo.

Cosa dire, sarà la pregevole cucina che risveglia ricordi di altri tempi, sarà la sensazione di sentirsi un po’ a casa, coccolati e vezzeggiati, certo è che il rischio di lasciare un pezzo di cuore tra queste colline del Monferrato è abbastanza alto.

Albergo Ristorante Cacciatori. Via Moreno, 30. Cartosio (AL). Tel. +39014440123