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Laura Castelli

Coronavirus e ristoranti: Castelli non ha detto ai ristoratori di cambiare mestiere

Coronavirus e ristoranti: la viceministra Laura Castelli è ingenua ma non ha affatto detto ai ristoratori che devono cambiare mestiere
domenica, 19 Luglio 2020 di

Il sabato del villaggio e delle cucine, notoriamente affollate nel weekend, è stato messo a soqquadro dalle dichiarazioni del viceministro all’Economia Laura Castelli.

Al Tg2 Post ha parlato di crisi da coronavirus facendo l’esempio dei ristoranti e le sue parole diventano ristoratori se non avete clienti cambiate mestiere.

Cosa ha detto la viceministro Laura Castelli

Castelli si è espressa in modo più complesso: “Questa crisi ha spostato domanda e offerta, le persone hanno cambiato il modo di vivere, e bisogna aiutare gli imprenditori dei nuovi business che sono nati in questo periodo. Certo che se una persona decide di non andare più al ristorante bisogna aiutare l’imprenditore a fare un’altra attività e non perdere l’occupazione e va sostenuto anche nella sua creatività, magari ha visto un nuovo business. Io credo che negare che questa crisi abbia cambiato la domanda e l’offerta in termini macro economici sia un errore. Vanno aiutato le imprese, sposteremo le tasse”.

E con le polemiche partite ad alzo zero sui social e le contestazioni dei politici di altre forze, da Salvini a Meloni, l’esponente grillina ha specificato: “La citazione del ristorante è un esempio e non un attacco alla categoria, come strumentalmente qualcuno ha voluto far intendere”.

Ma la frittata è ormai fatta. E anche grande.

Cosa hanno ribattuto chef e ristoratori

Gianfranco Vissani contro Laura Castelli

Gianfranco Vissani non ha fatto mancare il suo “Dovrebbe cambiare mestiere lei, perché non è all’altezza di giudicare! Si dovrebbe vergognare di quello che ha detto. Dovrebbe cambiare mestiere lei, non i ristoratori che hanno il 13 per cento del Pil. Lei prende lo stipendio dallo Stato, o bene o male che faccia. Dovrebbero cominciare a pagare i debiti che lo Stato ha, con me ad esempio, che non sono stati mai saldati da vent’anni. Ci sono tutti gli ambulanti, bar, pasticcerie, alberghi chiusi. È vergognoso che un viceministro dica una cosa simile, deve cambiare mestiere”. 

Paolo Trancassini, deputato di Fratelli d’Italia e proprietario de La Campana a Roma, è andato giù duro con Laura Castelli: “Ascoltare il viceministro Laura Castelli consigliare ai ristoratori, me compreso, di cambiare mestiere lascia increduli e genera rabbia in ognuno di noi. Sorprende la superficialità dell’approccio ad un tema così drammatico, che ricordo alla “ignorante” rappresentante del Governo, riguarda non pochi ristoratori ma migliaia di posti di lavoro legati all’enorme filiera della ristorazione: cuochi, camerieri, commercianti, agricoltori, artigiani, etc. dovrebbero tutti cambiare mestiere solo perché un Governo di incapaci si arrende davanti alla crisi del settore e con una presunzione inaccettabile resta sordo alle proposte concrete per affrontare questa problematica. No viceministro Castelli, io non cambio mestiere, lo cambi lei così da regalarci almeno una speranza”.

Dalla Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, il presidente Lino Stoppani, ha rispedito al mittente l’analisi evolutiva: “La crisi ha modificato stili di vita, modalità di lavoro e modelli di consumo, certo, ma non è invitando gli imprenditori a cercare nuovi modelli di business, guidati dalla creatività, che si aiuta e si salva un settore con oltre 300mila imprese e con più di 1milione di dipendentiAbbiamo più volte trasferito alla Politica i provvedimenti che sarebbero da prendere per evitare il collasso di un settore e scongiurare ingenti danni economici e sociali, ridando forza e prospettive ad un settore vitale per l’immagine e la promozione del Paese. Oltre ai citati provvedimenti emergenziali e di visione, c’è bisogno anche di tornare alle tradizionali modalità di lavoro, che non significa peraltro tornare indietro. Significa invece trovare i modi di vivere i luoghi in sicurezza, ridefinendo gli orari e la vivibilità cittadina. Essere “smart” significa guardare avanti, dando il giusto valore al lavoro, al buon lavoro, di tutti, dal “working” al divertimento serale. Il settore ha bisogno, cioè, di cure e attenzioni, anche per evitare la pandemia della povertà, che è tra i più pericolosi effetti collaterali del Covid-19”.

Ma c’è anche chi difende la viceministra Castelli come Giorgio Locatelli. “Mi piacerebbe non dare ragione alla viceministra Castelli ma c’è una buona quantità di verità in quello che dice. Non è un approccio gentile, è un approccio a gamba testa, ma reale. Questo è un mestiere in cui bisogna reinventarsi. Insomma, forse la ministra ha usato quelle parole perché scocciata dagli italiani che piagnucolano. Qualcuno che ogni tanto dia una sferzata serve. Così chi è capace è spronato a reinventarsi, che è da sempre una caratteristica importante di un ristoratore che vuole durare”.

Il tiro al piccione su Laura Castelli

piccione

L’impressione è quella del tiro al piccione.

Ma il piccione non è l’incauto viceministro Laura Castelli che ha mal armeggiato le parole che da esponente politico di un dicastero importante per le sorti dell’economia nazionale dovrebbe padroneggiare.

Il piccione è la ristorazione che ha ancora una volta scoperto il suo tallone di Achille: la rappresentatività.

Fare l’esempio dei ristoranti vuoti mentre gli uffici sono vuoti per lo smart working è guardare l’effetto senza considerare la causa.

Provare a ragionare dopo un’infilata di norme e contro norme sfilacciate nel tempo come prevedere la consegna a domicilio ma vietare l’asporto è operazione buona per la cronistoria e le polemiche, ma non per le soluzioni.

E a tacer d’altro, c’è la questione delle distanze al ristorante in un balletto di metri e metri quadri. Dimostrazione della poca lungimiranza dei ristoratori tesi a ritrovare l’egual numero di posti a sedere anziché quello dei clienti seduti.

La rappresentatività è il potere di incidere sulle decisioni politiche. In questo la ristorazione ha dimostrato di non riuscire nonostante la pletora di sigle, siglette e movimenti di protesta di vario genere.

Gli chef più forti e potenzialmente con il maggior seguito mediatico e dunque di opinione hanno taciuto. Qualcuno ha provato a tessere una tela ai tavoli del potere politico ma è stato ferocemente impallinato dai colleghi. Le richieste di carattere emergenziale sono state accantonate. Blocco degli affitti (con il virale Peppe, paga tu), prestiti a fondo perduto, blocco delle utenze sono rimasti lettera morta insieme alle altre richieste che hanno dato vita a manifestazioni (con multe per assembramento annesse).

Colpa del governo, colpa dei ristoratori? Il sistema non funziona. Rappresentatività solo ai fornelli e durante il lockdown a spadellare da casa in formato ricette da trattoria o gourmet. Per stare in contatto con i clienti e per riappropriarsi dei fornelli spenti al ristorante.

E dire che uno chef, lo dice la parola, comanda. Ma in questa storia più che comandare è comandato. Tanto da chiedergli di appendere la giacca al chiodo. Brutta storia, c’è poco da aggiungere.

Su questo siamo tutti sicuri.

[Link: Repubblica, Corriere, Libero, Adnkronos]

Di Vincenzo Pagano

Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.