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15 Febbraio 2019 Aggiornato il 30 Novembre 2020 alle ore 15:37

Roma. Le donne mordono alla trattoria SantoPalato nel nome del cibo buono

Prendi tre donne, no, non tre donne qualsiasi, tre donne di radici e di terra, tre donne che nella vita hanno fatto di mangiare e bere mestiere e mettile
Roma. Le donne mordono alla trattoria SantoPalato nel nome del cibo buono

Prendi tre donne, no, non tre donne qualsiasi, tre donne di radici e di terra, tre donne che nella vita hanno fatto di mangiare e bere mestiere e mettile assieme una sera, in una trattoria che ormai è un punto fermo della ristorazione a Roma, Santo Palato.

La prima è la padrona di casa, Sarah Cicolini, 30 anni di grinta, partita da Guardiagrele sulle montagne chietine, che per arrivarci devi superare l’appennino e lei l’ha scavalcato, è arrivata a Roma si è fatta le ossa in tante brigate passando pure per quella stallata di Roy Caceres, ma l’obiettivo era un posto suo, che raccontasse la sua idea di cucina fatta di tradizione, rigore e coraggio, lo stesso che la fa alzare all’alba tutte le mattine per andare a correre sotto i Colosseo.

Anche la seconda è una cuoca Patrizia Corradetti che di anni ne ha 70 pure se ne dimostra almeno 10 di meno, sarà per gli occhi vivaci con cui ti guarda mentre racconta che lei in cucina ci è finita per necessità 25 anni fa, dopo aver perso un lavoro di amministrazione e si fa seria quando dice che la vita è stata dura. Fai fatica a crederle quando ti garantisce che non sapeva fare neanche un sugo, perché il suo ristorante Zenobi a Colonnella nel teramano, lo conoscono ben oltre i confini della regione.

La terza è una vignaiola Valentina Di Camillo, 39 anni passati tra i filari che sono di famiglia da tre generazioni, in provincia di Chieti, la tenuta i Fauri, da 12 anni il padre non mette piede in cantina ha passato la mano a lei e al fratello Luigi, se la sbrigano loro e vincono premi. Ha un sorriso contagioso e descrive un mondo in cui le donne ci sono sempre state, come sua nonna che con orgoglio dice era un’ostessa, ma restavano in seconda fila, ora le cose sono cambiate, anche se lei è l’unica consigliera nel consorzio di tutela dei vini d’Abruzzo.

Il tema è “le donne mordono”, una sera al mese, tutte al femminile, la prossima a inizio marzo ma intanto per cominciare Sarah parte dalle origini e il primo il filo conduttore è l’Abruzzo, patria di tutte e tre.

Si comincia col crudo di pecora, che se non me l’avessero giurato che è di pecora non c’avrei creduto, perché ti aspetti un sapore selvatico e invece è una tartare delicata che si accende col cavolo viola marinato. Sarah ci tiene a spiegarmi che sono animali allevati in montagna e che lei si fornisce solo da Cetrone, in provincia dell’Aquila.

Perché tra le cose che hanno in comune queste tre donne, ovviamente c’è il rispetto della materia prima e di come trattarla. La ragione per cui Valentina mi spiega senza presunzione perché non usano barrique, perché dice non avrebbe senso spingere il vino verso sentori diversi. Intanto stiamo bevendo Pecorino, dei vini della serata quello che più guarda al mare, quello che sta all’orizzonte dei vigneti dei Taufi.

Nel frattempo sono arrivate le pallotte di cacio e ovo al pomodoro e qui si apre una discussione tra la cucina e la sala perché ogni famiglia ha la sua ricetta ma Patrizia non transige, si fanno come dice lei: 30% parmigiano e 70% pecorino, quello di Gregorio Rotolo di Scanno.

E già scatta il bis.

Apriamo il Baldovino Cerasuolo, è il mio preferito della serata. E’ anche il mio preferito, confessa Valentina, perché è il vino dei vignaioli, quello che stava sulle tavole di campagna, struttura e freschezza, 14° e non lo diresti e poi si abbina con tutto e poi aggiunge con orgoglio per me è la sfida, restituirgli la reputazione che merita.

Siamo ai primi, cominciamo con la chitarrina col ragù bianco, un piatto in cui è facile riconoscere Sarah, più che pasta alla chitarra in verità tagliolini all’uovo che ha preparato la mattina, conditi con un ragù di cortile, anatra e coniglio, profumato di timo e finocchietto che Patrizia le ha portato direttamente dall’orto di casa.

L’altro è il timballo alla teramana: provo a contare gli strati “saranno 10” dice Patrizia, però secondo me sono di più perché non si tratta di pasta, ma di scrippelle abruzzesi, quelle che altrove chiameremmo crêpes in una versione senza latte, il risultato condito col sugo di pomodoro con le polpettine e la carne condita, besciamella, parmigiano e mozzarella, si scioglie in bocca

Si versa il rosso anzi l’Ottobe Rosso, che è sempre Montepulciano ma tutto un altro corpo e ci accompagna con l’agnello cacio e ovo, che arriva dalla Maiella, allevamento di montagna anche questo, l’uovo e il formaggio finiscono in crema nel condimento e fuori menù lo accompagniamo con verza e patate dovesse mai mancare un contorno.

Il finale è la pizza dolce, quando la vedo penso di aver capito male, credevo fosse un lievitato, invece sono strati di pan di spagna alternati a crema gialla e al cioccolato, bagnati di alchermes e spolverizzati di scaglie di mandorle, che non me ne vorranno le cuoche, io ho ribattezzato zuppa inglese all’abruzzese e comunque me la sono spazzolata.

Trattoria SantoPalato. Piazza Tarquinia, 4A. Roma. Tel. +39 06 7720 7354

[Elisabetta Margonari]

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