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Birra artigianale? Roma è in testa

sabato, 31 Luglio 2010 di

ritratto1-mazzolaDottore in chimica specializzato in tecnologie alimentari a Parma, Paolo Mazzola è un tecnico dell’industria birraria che lavora dal 1993 in Peroni, prima come responsabile del confezionamento ed oggi come responsabile di un progetto di WCM (world class manufacturing). Al di là della sua attività, il legame di Paolo Mazzola con le degustazioni di birre artigianali nasce dal rapporto con Slow Food. Fino al 2004 ha svolo tutti i corsi master of food relativi alla birra in Campania, Puglia e Molise, insieme ad importanti eventi di rilievo nazionale, come la conduzione di laboratori a Slow Food Agricolura a Napoli, e al Mercatino del Gusto in Puglia. L’altra sua grande passione è il vino.

Il 2009 è stato proprio un anno difficile, anche per il consumo degli alcolici, ed è continuata la oramai inarrestabile corsa verso il basso dei consumi procapite di vino, siamo a 39 l , quota impensabile qualche anno fa, specie se pensiamo che partivamo dai 120 l degli anni 60. Perde ovviamente di più il vino di non qualità, ma tutto il settore non se la passa bene, e la quantità destinata all’esportazione lenisce solo parzialmente la diminuzione sensibile del mercato nazionale.

Anche per la birra industriale il verdetto 2009 è infausto, consumo procapite sceso a 28 l, quindi in 3 anni, dal 2007 con olre 31 l procapite, il consumo è sceso del 9%.Siamo ritornati quindi ad inizio del 2000 quando si consumavano 28,1 litri procapite.

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La situazione dei primi mesi del 2010 mostra un lieve recupero intorno all’1,5% ( 28,5 l. procapite) ma c’è il dubbio che l’incremento, modesto, sia dovuto alla ricostituzione delle scorte. Quali le cause di questo tracollo?

Innanzitutto una diminuzione generalizzata del consumo di alcool, per lo stile più salutista della nostra società, siamo infatti a 6 l. di alcool puro procapite, poi senz’alro la crisi e il taglio su beni percepiti ancora come voluttuari. Non ulima causa del malessere di questo settore industriale, il peso fiscale che grava sul prezzo di vendita, l’accisa (la media è 28,2 Euro/hl.), per quasi un terzo dei costi di vendita.

Se si analizzano i dati europei, si nota che c’è una diminuzione di consumi generalizzata, ala in paesi come l’UK che perde più del 10% passando a 75,5 l. procapite, o Irlanda, più contenuta in Germania ed Austria. Anche i paesi dell’est Europa sembrano ormai saturi, ed inizia a scemare la corsa all’Est delle multinazionali
Nella tabella che segue, vi sono alcuni dati su Polonia e Romania, ma anche in Russia, Ungheria, Bulgaria la situazione è simile, magari esiste ancora qualche margine in Ucraina, e qualche paese dell’ex URSS, ma le prospettive per l’industria non sono più quelle di un lustro fa, quando tutte investivano all’Est per accaparrarsi un mercato in forte espansione.

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Molto diversa la situazione dei micro birrifici artigiani, oramai più di 300, con una produzione, per il 2009, intorno ai 140.000 hl., che rappresenta circa l’1% della birra prodotta e venduta (1,1 % circa prodotta e 0,9% venduta). Molti sono brewpub, e quindi producono spesso principalmente per sé, altri invece producono esclusivamente per il mercato. Molto spostata verso il Nord la produzione, con Piemonte e Lombardia a farla da padrone, ma anche Veneto, Liguria, Emilia e Friuli con presenze importanti. 43 i birrifici piemontesi con lo storico Baladin di Piozzo e Beba fra gli antesignani, poi Grado Plato, Montegioco, Troll, Pausa Caffè, Pasturana, CitaBiunda, Croce di Malo, e tanti altri.

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Si va, per nascita, dal 1995 di Beba al 2008 di Croce di Malto in un flusso di crescita di birrifici ininterrotto. 50 i birrifici lombardi, Birrificio Italiano, uno degli antesignani del 1996, Orso Verde, BiDU, Lambrate, Babb, Birrificio di Como, Doppio Malto, Lodigiano e tanti altri. 25 in Veneto, con 32 via dei Birrai e Barchessa di villa Pola. Cittavecchia e Sauris fra i 17 birrifici friulani, Maltus Faber, Scarampola e Busalla fra i 14 liguri, Birrificio del Ducato, Toccalmatto, Vecchia orsa, White dog e Torrechiara fra i 27 emiliani. In Italia centrale, nuclei importanti in Toscana, Olmaia, Bruton, Amiata, Mosto dolce, Abruzzo con Almond 22, Maiella e Opperbacco e Lazio, che merita un discorso a parte.

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Molti birrifici storici si trovano infatti nel Lazio, anzi a Roma o nella provincia più legata alla città, probabilmente perché la città è un mercato fenomenale per prodotti innovativi e di qualità elevata, parlo di Turbacci a Mentana, nato nel 1995, di Stazione Birra nata nel 1998 e Atlas Coelestis nato nel 2001. Oggi nel Lazio risiede uno dei primissimi birrifici italiani, Birra del Borgo, e altri come BOA e Turan si sono sviluppati successivamente. Anche come luoghi di consumo la città è all’avanguardia, con via Benedetta a Trastevere, ribattezzata via delle birra, per la presenza di bir&fud e del Ma che siete venuti a fa; ancora 4&20, Mastro Titta, Open Baladin sono altri famosi locali della città, per non dimenticare i beershop, come Off license e Domus birrae e i tanti altri che stanno nascendo.

Pochi invece i birrifici di successo al Sud. La Guida alle birre d’Italia di Slow Food del 2011, ha premiato con 5 stelle solo Malto Vivo di Ponte (BN) fra i 15 micro campani, fra i quali vanno ricordati Il Chiostro, Karma, St. John’s e Aeffe. Infine in Puglia presenze importanti come B94, Birranova e Svevo. In Sardegna bisogna segnalare Barley.

In un mondo come quello birrario dove le mulinazionali hanno imposto un profilo di prodotto, quello della birra lager, fresca, dissetante e beverina, la nascita di questo fenomeno ha rimescolato le carte in tavola.
La produzione italiana ha alcune caratteristiche peculiari, si è rivolta a locali/pub specializzati, alla ristorazione, ma non è penetrata nella grande distribuzione, pizzerie, bar, sia per i prezzi elevati, tipici di produzioni molto frammentate e con costi fissi alti, sia per un difetto di distribuzione organizzata, sia per problematiche legate ad una certa standardizzazione della qualità…ma questa è già un’altra storia, un altro articolo.