mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

Senso, il ristorante che Alfio Ghezzi ha aperto nel museo Mart

mercoledì, 30 Ottobre 2019 di

Da una parte, uno chef, anche famoso, oltre che bravo e già bistellato alla Locanda Margon, Alfio Ghezzi.

Dall’altra, il MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.

In mezzo, Senso, il nuovo ristorante di Ghezzi, ospitato dal Museo, assieme all’Alfio Ghezzi Bistrot.

Uno si ferma al centro della piazza coperta pensata dall’architetto Mario Botta, e si chiede dove andare, verso quale meraviglia dirigere i propri passi.

Per me, ospite alla “prima” di Senso, è stato facile: siamo di lunedì, il Museo è chiuso, ma il ristorante-bistrot è aperto (solo per noi – e avremo anche il tempo di fare un ahimé troppo veloce giro fra le collezioni del Mart).

Bello l’impatto con la prima sala, quella del caffè-bistrot: pannelli dipinti (riproduzioni di immagini pittoriche che omaggiano Gillo Dorfles, anche lui originario di questo lembo d’Italia), lampade, tavolini e sedie di design: la lampada Luminator di Luciano Baldessari; la poltroncina Luisa (832) e il tavolo Cavalletto (883) di Franco Albini; lo sgabello Mezzadro e la poltrona San Luca di Achille Castiglioni; la sedia Seconda/602 e la poltrona Charlotte di Mario Botta.

E poi ancora la poltroncina Silver, la poltroncina Uragano, e la poltrona Louisiana di Vico Magistretti; la poltroncina Ghiaccio di Piero Lissoni.  Un’antologia, una mostra del meglio del design per il fondoschiena.

Una parete è occupata dal bar e da una scaffalatura destinata a contenere, fra le altre cose, anche i prodotti (conserve di frutta e verdura) con il marchio “Alfio Ghezzi”.

Dall’altra parte, la sala del ristorante, separata da qualche elemento di arredo. Pareti bianche e di un bel blu, qualche foto di montagna, e una bella frase accanto all’ingresso (o all’uscita, dipende dal punto di vista): “Nature as first ingredient”. Bello – ma bello davvero, moderno, lineare, ma anche “caldo”, e accogliente.

Potrei dire che rispecchia da un lato il museo che lo circonda, e dall’altro la filosofia di Ghezzi:

“Una cucina semplice e riconoscibile, senza ridondanze, a ricordare come la semplicità sia in grado di trascurare l’apparenza fine a se stessa, per concentrarsi invece su gusto e verità.” 

Che si traduce in un menu “doppio”, diviso e rimescolato fra pranzo, bistrot, e cena, ristorante, e declinato sui diversi versanti della cucina di Alfio, che è trascorso dai grandi alberghi italiani ed europei a lavorare con Ettore Bocchia, con Gualtiero Marchesi a Erbusco e a Roma, con Andrea Berton da Trussardi, e con la famiglia Lunelli alla Locanda Margon, che porterà nell’empireo dei bistellati.

Dopo una parentesi nelle cucine nordiche, che ne hanno arricchito l’humus gastronomico, eccolo qui a Rovereto, in un posto che sicuramente sarà stimolante per la sua vena creativa. Ha già annunciato l’intenzione di dedicare un piatto alle varie esposizioni ospitate dal Mart: adesso, c’è una bellissima mostra su Isadora Ducan, grande ballerina d’inizio 900, figura chiave della danza e della cultura del tempo.

Il Menu Territorio è la sintesi di questi mondi, della ricerca di Ghezzi, un “ritorno a casa” (Alfio nasce da queste parti, verso Madonna di Campiglio) portandosi dietro le esperienze passate.

Come amuse bouche, un cannolo di carota – ovvero, la parte esterna di una carota della Val di Gresta, fritta e speziata.

A seguire, una cialda ai semi di lino con battuto di trota, maionese di trota e uova di trota; un wafer con all’interno della luganega; un raviolo di mele e mortandela.

Un inizio piacevole, sorprendente e buonissimo.

Il resto della carota dell’amuse bouche viene lavorato e diventa Carota, servito con un Ferrari Maximum Blanc de Blancs: un estratto di carota aromatizzato all’aneto; una crema di carote passata al forno, con una crema di coriandolo; un wafer con semi di sesamo e crème fraîche lavorata personalmente dallo chef, ci dice uno dei giovani camerieri.

Non sono un grande fan delle carote, e il tortino di crema di carote non mi ha entusiasmato – come il cannolo. Mentre l’estratto con l’aneto (un’altra cosa che non mi fa impazzire, l’aneto, ma qui mi è piaciuto) l’ho trovato molto buono e insolito.

Crauti olive candite e patè di fegatini di pollo, con una crema di mele e coriandolo, Ferrari Perlé Rose 2014. Piacevole, i fegatini sono una mia passione, l’insieme perfetto. L’idea è l’omaggio al fegato alla francese, ricetta della Mère Brazier, che metteva assieme fegato grasso e carciofi – qui, l’abbinamento, insolito, è coi crauti.

Un inizio che è un omaggio al territorio, anzi, alla Val di Gresta, e alle sue verdure di stagione. Carota declinata praticamente a crudo, nell’antipasto, e crauti, che sono propri di questo periodo.

Plin di gallina con burro acido e zafferano di montagna, Ferrari Perlé nero 2010. Ottimi, forse il mio piatto preferito.

Il pane diventa una portata vera e propria con Compartire, pane di grano duro, burro e olio extravergine Garda Trentino dop. Una delle cose tremende che capitano sulle tavole dell’alta ristorazione: un pane buonissimo con un burro buonissimo e dell’olio buonissimo. Che io mi sento obbligato a finire. Il pane arriva parzialmente tagliato, sempre per quell’idea di condivisione, di “compartire” le portate fra i commensali. Invece l’olio (Garda Trentino dop) è fatto con sole olive Casaliva: ecco perché la ‘C’ sul piattino.

Capriolo, salsa al cioccolato, pastinaca, Tenuta Lunelli Pinot Nero Maso Montalto 2016. Tenero, saporito, tanto che non mangiavo del capriolo.

Miele noci, polline e rabarbaro, Ferrari maximum Demi Sec. Che mi è piaciuto leggermente meno del resto.

Due, dicevamo, i menu del bistrot, uno fortemente legato al territorio, e un altro che celebra l’italianità, i classici della nostra cucina. Dietro il bancone del bar si intravede il frigorifero dei salumi (che sarà comunque “visitabile”, magari guidati dallo stesso chef, nel corso della cena), nella scaffalatura ci sono le conserve lavorate da Mas del Gnac, cooperativa sociale che esegue e imbarattola le ricette di Ghezzi. Ma anche i piattini sono opere realizzate appositamente, per dire.

Ci saranno anche le pizze nel menu del bistrot, alla pala (una passione di Ghezzi: è quasi una schiacciata, impasto molto idratato, al 92/93%, che rende la massa molto alveolata, lievitazione 24 ore, cottura a temperatura molto alta) e nel ruoto, lievitata 4 giorni; quattro tipologie di panini, fra cui uno speciale per l’hamburger o meglio Martburger, con stampigliato il logo della cupola di Botta, che sarà il panino rappresentativo del luogo, e un po’ di dolci – lievitati, una veneziana, un pain au chocolat, e immancabile un krapfen, dolci da credenza, una torta di carote, una di mele e una versione della Sacher fatta con l’olio evo Garda Trentino dop al posto del burro.

Un bel progetto, ben strutturato, e ben “cucinato”, ben integrato al contesto museale (un museo “vivo”, interessante, moderno come è il Mart). Penso che si capisca che mi è piaciuto molto – ho già incrociato Ghezzi in qualche cena e manifestazione, e mi piaceva già. Mi piace come ha messo su questo nuovo locale – che, non devo dimenticarlo, conta anche su una squadra di giovanotti e signorine in sala dall’aria sicura, simpatica, attenta, insomma, su una sala che promette deciamente bene. Abbiamo trovato uno di loro i giardino, dopo pranzo, che ci ha detto che a lui piace lavorare nei ristoranti dentro o vicino a un museo – che mi sembra un ottimo motivo per scegliere un lavoro come questo.

Senso & Alfio Ghezzi Bistrot. Mart. Corso Bettini, 43. Rovereto (TN). Tel. +39 0464661375

[Immagini: iPhone Emanuele Bonati, Jacopo Salvi]

Di Emanuele Bonati

"Esco, vedo gente, mangio cose" Lavora nell'editoria da quasi 50 anni. Legge compulsivamente da sessant'anni. Mangia anche da oltre 60 anni – e da una quindicina degusta e racconta quello che mangia, e il perché e il percome, online e non. Tuttavia, verrà ricordato (forse) per aver fatto la foto della pizza di Cracco.