Marco Magnocavallo dopo Tannico riparte dal gin Selvatiq

Che ci fa Marco Magnocavallo, il fondatore di Tannico, la più grande enoteca online d’Italia, tra le vette dell’Himalaya, le coste selvagge della Sardegna e il deserto dello Utah? Forse non ci crederete, ma cerca ginepro. Non uno qualunque, figuriamoci. Cerca l’essenza autentica di territori estremi, da trasformare in spirito. Non in senso figurato, ma nel senso più liquido e profumato del termine: gin.
Marco Magnocavallo è uno di quei rari imprenditori capaci di reinventarsi senza mai perdere il filo rosso che guida i suoi obiettivi, la passione per ciò che è ben fatto, innovativo, con un’anima. Visionario digitale, imprenditore seriale, ha passato oltre vent’anni a costruire e vendere progetti. Ma oggi, dopo un’intera carriera spesa a correre più veloce del mercato, ha scelto di rallentare. Non per fermarsi, ma per guardarsi intorno. Respirare e, paradossalmente, tornare a creare ancora una volta da zero o quasi.
Certe storie iniziano sempre da un garage

La storia imprenditoriale di Marco Magnocavallo comincia proprio in un garage di Milano (certo parliamo di una vetrina a Porta Venezia sia chiaro) e non è una metafora. A 21 anni apre con un amico un’attività dedicata alle Mini Cooper, tra ricambi, restauri e raduni.
Ma è nel 1996, quando internet era ancora una frontiera selvaggia, che entra nel digitale con la web agency Comunicate. Progetta siti quando il web era una pagina grigia con scritte blu, sviluppando progetti ambiziosi come il sito di Poste Italiane. Poi l’esperienza editoriale con il network Blogo, uno dei primi esperimenti di editoria verticale in Italia, venduta successivamente a RCS. Passa per una breve parentesi nel venture capital, e arriva poi col coniglio nel cilindro, Tannico, l’enoteca online che ha cambiato il modo di vendere e raccontare il vino. Un successo incredibile, culminato con l’ingresso di Campari e Moët Hennessy.
Nasce il gin Selvatiq
Nel 2022, dopo l’uscita definitiva da Tannico, e con una exit alle spalle da raccontare con orgoglio e ironia, Magnocavallo decide di fermarsi. Forse. Eh sì, perché il suo è un percorso che somiglia più a una serie di salti nel vuoto che a una classica parabola da manager. Pensa di prendersi una pausa per leggere, guardare magari qualche serie su Netflix come fanno tutti, banalmente respirare. Una pausa che dura molto poco. “Dopo un paio di mesi ho capito che era troppo presto. Ma non volevo più correre dietro a capitali o scalabilità. Volevo lavorare con persone che stimo, su progetti che abbiano senso. E magari, divertirmi anche un po’”.
Nascono così due esperienze apparentemente distanti, ma legate da un approccio comune: autenticità, attenzione ai dettagli, rispetto. La prima è la rinascita della storica Rosticceria Palazzi con Juliette Bellavita, già sua socia in Tannico. La seconda, molto più selvaggia, nel vero senso della parola, è Selvatiq.
Il gin di Magnocavallo parte da lontano

Selvatiq non è un gin qualunque. È una visione liquida, nomade, radicale. Un progetto che parte da botaniche raccolte a mano in territori estremi e arriva a una distillazione raffinata, precisa, affidata all’Antica Distilleria Quaglia. “Conoscevo Selvatiq dai tempi di Tannico perchè lo distribuivamo, e mi ha sempre colpito la coerenza del progetto”, racconta Magnocavallo. “Quando ho saputo che si poteva acquisire, ho deciso di studiare bene il settore. Ho parlato con Luca Gargano di Velier (partner in questo progetto), mi sono immerso nel mondo degli spirits. Più lo studiavo, più mi sembrava il terreno giusto per fare qualcosa di nuovo ma vero”.
Durante quella fase di studio, un’intuizione diventa il punto di svolta: Magnocavallo scopre che il 99% dei gin viene prodotto con un’unica specie di ginepro, il Juniperus Communis europeo. Ma in realtà esistono altre varietà, come il Juniperus Indica che cresce solo sulle pendici dell’Himalaya o il Juniperus Osteosperma del deserto dello Utah.
La sfida è ambiziosa: creare un gin che racconti tre territori attraverso tre ginepri diversi. Non semplici variazioni botaniche, ma tre varietà distinte di ginepro, raccolte in natura, dove la pianta cresce spontaneamente da secoli, e mai in forma coltivata.
Le spedizioni di raccolta

Insieme al socio Giacomi Sandri, ha iniziato così a organizzare delle spedizioni di raccolta in territori remoti, insieme alle comunità locali. Un viaggio difficile, se pensiamo che in Nepal, ad esempio, Sandri ha viaggiato tre giorni da Kathmandu per arrivare alla zona di raccolta.
E non è stata semplice nemmeno la fase successiva. Importare botaniche direttamente dai Paesi d’origine è complicato, quasi proibitivo senza intermediari. Il lavoro di Giacomo, ci dice Magnocavallo, è stato cruciale. Dopo mesi di difficoltà e tentativi, è riuscito a portare a termine le raccolte tra settembre e novembre, mettendo a punto tre ricette uniche, ognuna basata su un ginepro di diversa famiglia e su botaniche specifiche del Paese d’origine.
Il ginepro del deserto la sfida più intrigante

Nessuno avevo mai usato il ginepro del deserto per produrre gin, lo dice una ricerca universitaria americana scovata in questi anni di studio, che ne analizzava le potenzialità aromatiche. Il verdetto scientifico diceva: “si può fare”. Ma nessuno se ne era mai realmente interessato.
“È stato un anno di suspense”, racconta Magnocavallo. “Ma quando Franco Quaglia ha iniziato le prime distillazioni, ci chiamava ogni volta con stupore: ‘Mai sentita una cosa del genere. Potenza ed eleganza incredibili.’”
Così sono nati i tre gin selvatici che hanno fatto impazzire i suoi fondatori.
Selvatiq Himalayan Gin

Un distillato che nasce a oltre 3.500 metri di altitudine, dalle bacche del Juniperus Indica, raccolte a mano da comunità locali nepalesi. Il ginepro, fino a quel momento usato solo come combustibile, diventa ora una risorsa preziosa e fonte di sostentamento per le comunità locali. A completare il profilo aromatico: pepe di Timur, cardamomo nero, e fiori di alta quota. Il risultato è un gin balsamico, speziato, con un finale lungo e verticale.
Himalayan Gin Tonic, con garnish di pepe Timur, è la sua espressione ideale.
Selvatiq Mediterranean Gin

Un omaggio al Mediterraneo più autentico. Il ginepro è il Juniperus Oxycedrus, raccolto tra le isole de La Maddalena e Caprera. Le note resinose sono bilanciate da mirto selvatico, foglie di fico, arancia amara e timo. Un gin solare, salino, ricco di carattere, che restituisce al naso la vegetazione calda e aromatica della macchia sarda.
Da provare in un Mediterranean Negroni, elegante ma con un twist selvaggio.
Selvatiq Desert Gin

Qui si va oltre la sperimentazione: è il primo gin al mondo a usare il Juniperus Osteosperma, ginepro che cresce nel deserto dello Utah. Botaniche rare come artemisia tridentata, salvia bianca e sommacco completano un distillato inedito. I primi test avevano il sapore del mistero: nessuno sapeva se quel ginepro avrebbe funzionato fino al verdetto del distillatore Franco Quaglia.
Il Desert Martini ne esalta il lato secco, quasi mistico.
Luca Gargano è con Marco Magnocavallo nel nome del gin

Tutto in Selvatiq è pensato per raccontare storie vere. Le raccolte sono spedizioni vere e proprie. Ogni gin è legato a un luogo, ma anche alle persone che lì vivono e collaborano. Non si tratta di esotismo, ma di territorio e sostenibilità reale. Per questo, oltre ai gin, è nato un libro fotografico con le immagini delle spedizioni, e un cortometraggio che racconta l’anima del progetto e se sono firmati Magnocavallo gli crediamo sulla parola.
La distribuzione è affidata a Velier di Luca Gargano che è socio di Marco Magnocavallo in questa avventura del gin Selvatiq. “Ci sono progetti che ti conquistano subito per la loro audacia e autenticità e Selvatiq incarna il profondo rispetto per il territorio e la ricerca dell’alta qualità senza compromessi. Non potevamo non essere parte di questa avventura”, spiega.
E Magnocavallo? Sorride, pacato, ma lo sguardo è lo stesso di sempre. “È bello fare qualcosa che non hai bisogno di spiegare troppo. Lo bevi, e lo capisci”.