Chiedersi perché il Don Alfonso della famiglia Iaccarino ha solo due stelle Michelin
Gira e rigira, la domanda è sempre la stessa. Possibile che il ristorante Don Alfonso a Sant’Agata sui Due Golfi abbia “solo” due stelle Michelin?
Una delle tavole più brillanti d’Italia è tra le più sottovalutate dalle guide. In un periodo non felicissimo, il ristorante di Livia, Alfonso, Ernesto e Mario Iaccarino perse la terza stella. Che è diventata quasi una bestia nera.
Delle tre guide italiane, solo il Gambero Rosso lo issa sul podio con le tre forchette e un 94 che lo porta in terza posizione alle spalle dell’Osteria Francescana, della Pergola e al pari di Villa Crespi. L’Espresso lo “punisce” con due cappelli e un 17/20, ben lontano dalle eccellenze della Francescana (a 19,75) della Pergola (a 19,5), di Villa Crespi (a 19).
Saranno le stimmate, la “preoccupazione” che Ernesto sia il figlio d’arte “ma se avesse iniziato lui non sarebbe così famoso” ed altre varie ed eventuali tiritere.
Voi, intanto, provate ad arrivare al calare delle ombre in questo posto magico. Non vale nemmeno la notazione di Alfonso: “manca la vista del mare” (e sì che di esempi e di eredi esterni se ne contano in zona).
Siamo nel perimetro urbano di un colle ben affollato di costruzioni. Fortemente antropizzato, si direbbe. Ma varcato il cancello del relais (sì, ci sono anche alcune camere), tutta la confusione è alle spalle.
La dimensione è quella di una casa, bella e accogliente. Profumata di cucina e di verde delle piante messe a dimora di continuo. Un lavoro lento e inarrestabile.
Qualche mese fa, mi chiedeva una maître chi fosse per me il riferimento al femminile in questo mondo. “Non faccio distinzioni di genere: Livia Iaccarino è una spanna sopra tutti”, le ho risposto.
Da napoletano riconosco una certa connaturata invadenza verbale ai miei concittadini, ma Livia è il gesto misurato, mai affettato e sempre disponibile. Ha incontrato tante di quelle persone che ha un archivio comportamentale smisurato.
In una sala costantemente affollata di ospiti quale che sia il giorno della settimana, non è facile far sentire tutti partecipi allo stesso livello e in modo differente di un’esperienza gastronomica che ci si attende alta se non altissima. Livia e Mario lo garantiscono insieme a una brigata che non conosce sbavatura.
E in cucina c’è la solidità di Ernesto che ha nel padre un grande maestro e consigliere.
E soprattutto un appassionato coltivatore e allevatore alle Peracciole a Punta Campanella (per dire, era di ritorno dall’innaffiatura degli ulivi storditi dal gran caldo).
Se il quadro di premessa vi sembra troppo aulico, provate a seguirmi in questo percorso.
Si comincia con un benvenuto di melanzana, crema e pane con cioccolato. E il gioco del richiamo alle parmigiane delle feste.
Ernesto mi (e ci) conosce troppo bene. Arrivano i miei prediletti calamaretti ripieni di zucchine e provola che sono stati conservati in questa splendida versione amuse bouche.
Dicevo delle Peracciole? Godete con questi peperoni, melanzane, gelato di rafano e spaghetti di cetrioli. La terra fresca e penetrante.
Avevo assaggiato di passaggio un piatto in anteprima che aveva fulminato anche il cellulare. Gelato di anguilla, caviale Oscetra, pasta alla rosa canina ed emulsione di erbe selvatiche. E’ una creazione del 2012 che arriva in questa stagione ancora più in forma.
La burrata è diventata di moda e la ritrovi in ogni dove. L’uovo al tegamino con tartufo nero e, appunto, burrata è spaziale. Il piatto di vetro ordinato in Spagna è un esempio di decorazione non fine a se stessa. Misurata, che come detto è la regola della Casa.
Il primo piatto è una creazione del 2015. La carta recita: Cappelli di pasta farciti con stracotto di pollo, salsa di cipolla, parmigiano e tartufo nero. Il pollo da alta cucina? Così denso di gusto ruspante e delicato, senza alcun dubbio. E non è un ossimoro.
Anche gli Gnocchi acqua e farina con cuore liquido di scamorza affumicata e pomodorini vesuviani sono una creazione del 2015. Con il mio commensale si discuteva sull’ingrediente iconico del Don Alfonso: lo abbiamo davanti intrigante e da intingolo selvaggio. Una salsa corposa e pazzesca che Ernesto realizza con un 40% di passata home made e pomodori freschi. Terminato tutto il pane disponibile.
Mi chiedo come faranno dalla cucina a mantenere l’asticella così in alto dopo questa versione pop raffinata della pasta della domenica. La risposta arriva con un tonno la cui origine deve essere il Paradiso. “Cottura” perfetta, salsa borbonica Tornagusto e crumble di pistacchio per un piatto di grande leggerezza e altrettanto gusto.
Suadente da farti innamorare, il Filetto di manzo – questo dichiara l’origine beneventana – ti prende con la cremosità della mozzarella che avvolge stretto il cuore di carne cinto di verdura. E accanto un ketchup che ti rimanda alla indimenticabile salsa degli gnocchi. Cos’è la modernità di un ingrediente?
Si vira verso la fine della cena. O si dovrebbe. Perché il mio amabile commensale, Guido Ferraro, ha il classico “vulio“, una voglia incontrollabile. “Hai visto la puntata in cui Alfonso spiega gli spaghetti?”.
Un pre dessert con gli Spaghetti al pomodoro non me lo aspettavo, dico la verità. La mano è sempre quella felicissima che individua il perfetto punto di cottura. Se avevate qualcosa da aggiungere, ora siete in ritardo: anche il piatto in vetro è spettacolare. Di più, bestiale.
Ok, arriva il vero pre dessert.
Chiedo per me un classico: Babà con emulsione alle bollicine e gelatina di lamponi. Il tempo corre, è del 2008, il piacere è sempre quello intenso della costiera più raffinata.
Arriva anche la Pesca con latte di mandorle, albicocca e pane duro caramellato. Rivisitazione di quest’anno, freschissima e a suo modo di tradizione.
Nuovissimo, invece, è Geometrie di cioccolato, frutti di bosco, rucola e pepe di Sichuan. Mi piace moltissimo.
Arriva anche il fuoriprogramma: una torta per festeggiare il compleanno. Ancora più buona perché è un pensiero inaspettato.
Chiudo gli occhi addentando un macaron di gusto fresco (“ci voleva un po’ di farcitura in più”, annota Ernesto) e rivedo la pensilina con la ruota di carro di ormai non so quanti anni fa.
Don Alfonso è un pezzo di storia importante della ristorazione. Lo è stato e lo sarà e non perché è un volume polveroso di una biblioteca da conservare con cura. È moderno, contemporaneo, in grado di spiegarti il passato senza nostalgie. È il grande ristorante italiano. Perfetto.
Non siete d’accordo?
PS. Per cortesia, Livia, qui nessuno è superstizioso ma le chips di apertura meglio farle diventare 3.
Don Alfonso 1890. Corso Sant’Agata, 11/13. Sant’Agata Sui Due Golfi(Napoli). Tel. +39 081.878.00.26