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Vito Frolla? No, Tino Spezza a leggere di Noma. In cucina

lunedì, 22 Novembre 2010 di

chefclaude-logoChefclaude è attento osservatore e commentatore del web 2.0. Non sappiamo chi sia né in quale cucina operi. Sappiamo solo che è chef pasticciere di preferenza e che la sua città di residenza è Roma (anche se non possiamo giurare che sia nato a Roma). Ha chiesto l’anonimato perché ovviamente va di moda tra gli chef che contano e che accolgono stagisti nelle loro brigate. Ma lui non scrive, legge. E dalla parte dei fornelli anonimi accompagnerà in libreria i lettori di Scatti nella rubrica Libri da Gustare. Poiché l’anonimato potrebbe non essere sufficiente a proteggerlo, ha deciso di inventare un alter ego che dovrebbe metterlo al riparo dalle indagini di critici, giornalisti e assimilati. L’eroe si chiama Tino Spezza ed ha una passione per la carne (ma non vi diciamo come cucinata per consentire qualche indagine in merito grazie agli indizi fino ad ora raccolti). Ha anche un cugino cui piace bere, tale Tino Macerato, che ha sempre un bel po’ da ragionare. Ma questa è una’altra storia. Per ora leggete questa recensione con l’avvertenza che essendo coperta da anonimato è obiettiva e al tempo stesso noi ci dissociamo da quanto scritto perché noi non conosciamo l’autore. (V.P.) (che avete capito? Vito Panza)

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Every time I come in contact with beautiful music, art, architecture, artifacts and cuisine, I wonder, “Why do people go this far?”. I can only say that humans exhibit no end to desire. That’s human nature. (Ryuichi Sakamoto)

Fine servizio in un ristorante. Due cuochi, Dino Bu e Tino Spezza, la fronte ancora sudata, sfogliano un librone dalla sovraccoperta grigia posato sul piano d’acciaio davanti a loro.

Dino: “…ma guarda un po’: sea buckthorn, sea kale, sea purslane, sea lattuce… bisogna che li ordiniamo pure noi, all’ortolano!”

Tino: “Cerca di riportare un attimo tutto al contesto: ortica, acetosella, aglio ursino..,”

D: “Si, poi alla fine ci mettiamo sopra un bel caffè di cicorie!”

T: “… un cappuccino di cicorie… un’idea niente male! Vedi che, quando ti ci metti, sei collaborativo?!”

D: “No, mica scherzavo. Io co’ sta moda di andar per fratte, tipo cappuccetto rosso incontro al lupo, o la suocera francese col cappellone nero che va per le montagne, che ad un crocicchio s’imbattono l’uno nell’altra, tutt’e due col cestino sotto al braccio, beh, non mi ci ritrovo proprio. Posso capire il mercato, e il cuoco contadino, e i prodotti locali, e il kilometro zero, ma questo poi…”

T: “Come al solito, lo spirito è più importante della cosa in sé. Guardala così: non conosco i mercati di Copenaghen e vivo a sud” – indica una cartina disegnata e ripiegata nelle prime pagine del libro, la mappa dei fornitori tracciata lungo le coste del Mare del Nord da una sorta di Ulisse contemporaneo – “Ma questo Redzepi sta cercando come di fondare una linea tutta nordica. Di polarizzarla, per lo meno, puntando anche sulla rivalutazione di piante locali, sulle alimurgiche….”

D: “Le alimurgi cheee….???”

T: “…scavalcando il mercato, andando alla fonte diretta della natura stessa…”

D: “…e gli alimentari d’urgenza, i foragers, i postfrikkettoni fine-di-mondo…”

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T: “Guarda qui ‘sta foto: una sogliola, insaporita da foglie di un cavolo che cresce sulla spiaggia: la stessa salinità che unisce due esseri contigui e diversi, che ti finisce in bocca, come se l’avesse portata un’ondata. Il piatto diventa la fotografia dell’ecosistema, chiusa in sé, scattata da un cuoco; e la tecnica che c’è sotto porta avanti e indietro in tutti e due i sensi, come il nastro di Moebius, memoria e avanguardia, primitivo e moderno.”

D.: “Quando parli così non capisco se sei troppo stanco o solo strafatto: anche se il cavolo ha un senso…”

T: “Non è la singolarità, anche se può sembrare così, il cavalcare un’onda, la scoperta fine a sé stessa: è che la natura ha ancora più varietà, più forme, più gusti di quanto possa contenere la memoria umana. E perché le due cose da sempre, quando non sono in lotta, sono in concorrenza nella creatività e nella bellezza.”

Entrambi rimangono un paio di minuti in silenzio: le immagini limpide dei piatti e dei paesaggi si susseguono, per diverse pagine, senza una riga di testo; nel sottofondo, rumore di stoviglie, bicchieri, motori di frigoriferi, acqua che scorre e acciaio.
Un momento di fredda, calma, trasparente assenza pervade entrambi.

Foto: Phaidon, Eater

René Redzepi, Noma: Time and Place in Nordic Cuisine, Phaidon Press, 368 pp., 45 €

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P.S. Poiché un progetto come quello di Redzepi coinvolge in realtà una comunità mista, fatta di cuochi, ma anche di ricercatori e di etnobotanici, e perché un libro comunque chiama sempre un altro libro, consiglio vivamente a chiunque si voglia addentrare più in profondità nel discorso questo testo: “The Forager Handbook. A Guide to the Edible Plants of Britain” di Miles Irving. Il libro si avvale, nella parte relativa alle ricette, della collaborazione di cuochi (tra cui lo stesso Redzepi) e di Francois Couplan, etnobotanico francese molto noto, e già apparso a fianco di Marc Veyrat in diversi progetti editoriali. Nella 2008 Chef Conference di Londra Redzepi invitò Miles Irving sul palco e insieme illustrarono alla platea l’uso gastronomico di piante e radici della vegetazione spontanea britannica.
Chi invece volesse avere anche solo una vaga idea di cosa sia il “foraging”, può gustarsi il bellissimo documentario del 2007 di Ray Mears prodotto dalla BBC, “Wild Food”.