mulino caputo farine per pizza, pane e dolci

Vuoi mangiare pesce nel cuore di Roma? ilSanLorenzo è per te

martedì, 27 Settembre 2011 di

svinando

Il posto è molto bello, solido ed elegante, si entra e ci accoglie l’immancabile mostra del pesce. Non capirò mai questa usanza romana e piccolo borghese, ma tant’è, oramai è così in tutti i ristoranti della città, anche se in un posto così curato stride.

La cucina a vista non vuole inganni: è bello dal divano guardare l’affannarsi operoso della cucina mentre si gusta una bollicina e si spilucca un paninetto con il guanciale cotto di Bassiano e un’ovolina di mozzarella di bufala della Perla del Mediterraneo. Mi guardo intorno e noto che almeno a pranzo c’è molto business e gruppi di uomini in abiti formali. Ma che diamine, siamo nel cuore della Roma politica e si vede.

Enrico Pierri è chef e padrone di casa prezioso che sa essere accogliente e discreto come si confa’ al luogo e alla clientela. Ci accomodiamo sotto un lampadario di cristallo molto ancien régime, che illumina la sala calda e discreta rischiarata da molta arte della scuola di San Lorenzo alle pareti. Tra un Pizzi Canella e un Bianchi incominciamo.

La parmigiana di melanzane è buonissima, urla campanitudine all’ombra del Bernini. Incredibile il tono casalingo e elegante, quel sapore antico del riposo dopo la cottura. Proustiano.

Il cartoccio di benvenuto di frittini, golosi e allegri nel cartoccio di carta paglia: un bel tono fumé sostiene l’arancino e le polpette di melanzane con un tuffo nella maionese casalinga fanno il loro alla grande. Rassicuranti.

Il trittico di tartare è efficace: elegante il merluzzo nella semplicità dell’erba cipollina. Intenso e vellutato l’alletterato (un tonnetto). Strepitosa la tartare di ricciola alla catalana. La qualità del pescato è da cinema! Ortodossi.

Insalatina di mollame con finocchio, buonissima la qualità dei molluschi anche se il gioco dei sapori è un poco scombinato: tra verde, dolce e agrume. Troppi sapori che non si armonizzano mai. Confuso.

Carpaccio di gambero rosso. Semplice e efficacissimo, una girata di olio e qualche germoglio… Voilla non serve altro! Parlante.

Carpaccio di scampo con finto pane alla nocciola e caviale. Un gran piatto, pensato ed efficace, tra pancia e cervello. Un dialettica incessante di acidità e dolcezze, molto lungo. Peccato per le sfoglie di sale superflue. Concettuale.

Polipo battuto alla pietra, stremato dalla battitura e solo accarezzato dal vapore. Struggente e piacevolissimo, sa di cose di una volta, tra erbe e mare. Glocale.

Calamaretti ripieno di friarielli e provola, su bouliabesse, un gancio che colpisce e stordisce. Certo non per signorine in tailleur minimal, ma intenso e goloso nel suo tono di orto e grigliate estive. Guascone.

Mare e monti, l’autunno nel piatto. Una sferzata sapida del consommé di guanciale e l’amaro delle erbe si compongono nel morbido dolce del gambero. Magistrale.

Tortelli di granseola, un primo ripieno golosissimo, una zaffata di iodio: la pasta piacevolmente ignorante e erta ci ricorda che siamo al sud e la zaffata del centrifugato di san Marzano completa l’opera. Mediterraneo.

Spaghetti di farro acciughe di Ponza e peperoni cotti sotto la cenere, immediato e golosone, persino un poco convenzionale. Comunque fa il suo sporco lavoro alla grande! Immediato.

Spaghetto con i ricci, è efficace e solido: una zaffata di mare, che sa di onde contro gli scogli di Santa Severa. Marino.

Tataki di alletterato, materico e sostanzioso. Quasi una portata di carne, tra morbidezza e acidità retto da un tono morbido di carbonella. Solido.

Patata al lemongrass con moscardini alla pizzaiola e carbone di nero di seppia. Si chiude alla grande con un piatto che ne contiene tanti altri. Si parte dall’acidità della patata al lemongrass, poi la freschezza mediterranea della pizzaiola sulla morbidezza di moscardini, il carbone di nero di seppia chiude i conti nel suo bel tono amarognolo. Non smette di mutare in bocca. Dialettico.

Zuppetta di fragole, yogurth e caramello, fa il suo rinfresca e lenisce. Efficace.

Babà alla Napoletane. Si chiude, questa volta davvero, con l’ortodossia partenopea, un classico, dalle tre lievitazioni e dalla bagna delicata. Goloso.

Alle quattro del pomeriggio, terminiano un pranzo interminabile ma piacevole. L’impressione è di un posto già buono ma che sta diventando ottimo. Con una cucina che sa coniugare tradizioni, creatività e una materia prima da sballo. Sul conto non so, ero ospite, ma so che il menù degustazione è a 80 €  per 8 piatti. Con i prezzi spaziali di tanti ristoranti di pesce del centro di Roma, mica è male!

Inforco la vespa per tornare verso casa, il sole in faccia e l’aria ancora tiepida: non posso fare a meno di sorridere…

Post Scriptum di Vincenzo. Enrico Pierri è napoletano cui piace parlare (ma và) e io ho piacevolmente allungato la mia permanenza con un tiramisù alla maniera del SanLorenzo in ragione della sopravvenuta “necessità” di un confronto tipico tra dolce napoletano e dolce romano. Al babà non si comanda, ma il tiramisù gelato e spumoso ti lascia mandare in pareggio Roma-Napoli. Stringo la mano a Pietro Valoroso, il sous-chef che in cucina ha seguito questa bella galoppata marina.

Sono contento di essermi ripreso il sapore dei friarielli e di una conversazione sospesa tra due città. Enrico e Elena Lenzini, compagna e sommelier, sono l’anima di un locale bello e non inutilmente pretenzioso in grado di brillare di luce propria. E forse di qualche altro prossimo astro. Non mancate di assaggiare la loro tavola.

Ristorante ilSanLorenzo. Via dei Chiavari, 4. 00186 Roma. Tel. +39 06.6865097

(Big Picture: le foto possono essere ingrandite cliccando sull’immagine)