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Sannachiùdere tarantini. La ricetta scientifica spiegata in 5 punti

lunedì, 24 Dicembre 2018 di

svinando

I Sannacchiùdere sono dolci di Natale tipici del tarantino.

Non sono struffoli, pur essendo all’apparenza molto simili e pur avendo con ogni probabilità le stesse origini.

Il che non implica un giudizio nel merito su quale dei due dolci sia più buono, ma identifica una maniera differente di interpretare l’uso antichissimo di friggere pezzetti di impasto in olio di oliva e immergerli nel miele.

Chi cerca in rete ricette della tradizione spesso si imbatte in errori grossolani che snaturano la preparazione, togliendole il carattere della tipicità.

[Cartellate pugliesi: la ricetta scientifica]

Se è vero che la cucina meridionale ha spesso origini comuni che si perdono nella notte dei tempi, l’attenzione ai dettagli, a quei piccoli caratteri distintivi che la rendono consueta solo agli abitanti di un determinato territorio, non vanno sottovalutati.

In Puglia alle nostre tradizioni, ci teniamo molto. Le differenti declinazioni di uno stesso piatto, rappresentano l’identità di una città, di un paese, di un piccolo borgo, e soprattutto di un gruppo di persone orgogliose della loro appartenenza a quei luoghi, a quella storia che si tramanda da generazioni.

Durante le feste poi, quando le famiglie si riuniscono e il cibo assume una valenza simbolica importante nonché evocativa di emozioni e ricordi strettamente legati al nucleo di appartenenza, la ricetta originale, quella delle nonne e delle bisnonne, deve essere una certezza.

Ecco0 allora la ricetta dei Sannachiùdere come da tradizione.

La ricetta originale dei Sannachiùdere tarantini

Ingredienti (per 12 persone)

1 Kg di farina 00
100 g di zucchero
200 g di olio extra vergine di oliva pugliese
Un bicchierino di anice
Un bicchierino di rum bianco
Vino bianco q.b. (circa un bicchiere)
Un pizzico di sale, di cannella, un chiodo di garofano
1 Kg di miele
Bucce di mandarini e arance
Olio per friggere
Codette colorate

1. Il nome

In dialetto tarantino S’hanna chiudere significa semplicemente ”si devono chiudere”. L’imperativo non è casuale: fa riferimento da un lato alla formatura degli gnocchetti d’impasto che vanno trascinati su una grattugia a mò di cavatelli, dall’altro alla necessità di conservarli nascosti in credenza prima che arrivi Natale. I Sannacchiùdere sono così golosi che uno tira l’altro e se tenuti a portata di mano si finiscono subito.

Mia nonna li nascondeva così bene da farne arrivare intonso qualche piattino fino alla Pasqua successiva.

A conferma che lo strano nome fa riferimento esclusivamente a queste usanze, posso citare una preparazione molto simile, ma salata che si fa a Capurso, un paesino in provincia di Bari. Col nome identico si fanno degli gnocchi di impasto simile, fritti e salati.

Sgombrare il campo da storie fantasiose prive di fondamento storico e/o etimologico è necessario per dare la giusta dignità a questa ricetta.

2. L’impasto

Alla base dei Sannacchiudere c’è la filosofia della cucina pugliese: rendere straordinariamente buoni quei pochi ingredienti che in ogni casa si avevano a disposizione.

Infatti è un impasto povero, senza uova e senza alcun agente lievitante, con poco zucchero, senza frutta candita.

Scaldare l’olio con le bucce di arance e mandarini portandolo al punto di fumo per estrarre dalle bucce degli agrumi tutti gli olio essenziali. Lasciarlo intiepidire prima di filtrarlo. Scaldare anche il vino bianco e procedere ad impastare.

Sulla spianatoia o nell’impastatrice, mescolare la farina, lo zucchero, il pizzico di sale, le spezie e a poco a poco prima il vino tiepido, i due liquori oppure l’alcool e in ultimo l’olio a filo.

Impastare fino ad ottenere una massa liscia ed omogenea.

Lasciar riposare 30 minuti prima di passare alla formatura.

3. La parte alcolica

L’aggiunta dei liquori o la stessa quantità di alcool per alimenti è indispensabile. L’alcool in cottura evapora e fa da “agente lievitante” rendendo gli gnocchetti croccanti e friabili. Omettere la parte alcolica li renderebbe duri e immangiabili.

Molti sostituiscono i liquori “canonici” con il limoncello. A mio parere la sostituzione non è vincente. Se è vero che il liquore al limone dà un profumo ed un sapore che col fritto ci sta bene, il troppo zucchero sbilancia il gusto rendendoli stucchevoli.

4. La forma

In questo caso la forma degli gnocchetti è sostanza perché fa anch’essa riferimento al nome del dolce.

Rotolare con i palmi delle mani sulla spianatoia i pezzi di impasto fino a ricavarne dei lunghi cordoni del diametro di un dito.

Tagliare piccoli tocchetti e incavarli sui fori di una grattugia a mò di gnocchi o cavatelli.

Friggerli in abbondante olio caldo (possibilmente extravergine) tutti gli gnocchetti e lasciarli asciugare su carta assorbente per fritti.

5. Il miele

Ingrediente essenziale nella cucina antica, usato per dolcificare ma anche come conservante, in questa come in altre ricette di tradizione assume ancora oggi la stessa duplice veste.

Scaldare il miele fino al primo bollore calarvi pochi per volta i Sannacchiùdere; scolarli col mestolo forato e deporli sul piatto da portata.

Mai diluire il miele con acqua o aggiungervi zucchero, e neppure farlo caramellare alzando eccessivamente la temperatura. Se il miele caramella il dolce sarà immangiabile

Versare sul piatto tutto il miele rimasto nel tegame e decorare con codette colorate

Dolce della cucina povera pugliese, abbiamo detto.

E infatti con lo stesso impasto mia nonna preparava le Cartellate ed anche i Cuscinetti di Gesù Bambino che sono una sorta di piccoli panzerottini farciti con confettura di uva o di cotogne, con mezzo gheriglio di noce, fritti e conditi col vincotto caldo.

Alle mie origini e alle mie tradizioni ci tengo moltissimo e voi?

[Immagini: Ornella Mirelli, Nuova Tradizione]

La ricetta scientifica spiegata in 5 punti

Cacio e pepe
Pasta, patate e provola al forno
Ragù napoletano
Papaccelle ‘mbuttunate
Focaccia messinese
Risotto alla parmigiana
Pasta e fagioli
Cartellate pugliesi
Tortelli di zucca
Pastrami di manzo
Cassata siciliana
Spaghetti a vongole