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Pizza. Pignalosa mette la parola fine alla disfida canotto-tradizione

domenica, 22 Dicembre 2019 di

Il ruttino della formica. La disfida pizza canotto – pizza a ruota di carro o se preferite pizza contemporanea – pizza tradizionale l’ha di nuovo ravvivata Monica Piscitelli, autrice qualche anno fa di un libro sulla pizza, le migliori pizzerie, ed esperta di comunicazione del settore.

È la strenna natalizia del web 2.0 che dell’albero di Natale conserva soprattutto le palle.

Quelle che ci facciamo leggendo un tot di inesattezze al chilo per il timbro modaiolo o spregiativo che alla pizza canotto viene attribuito in queste dotte disquisizioni.

E per quelle che volano come bolle di sapone nel cielo dei si dice.

Il motivo del contendere è la pretesa inutilità del cornicione alveolato e molto più pronunciato della norma(lità) che non sarebbe di per sé motivo per dichiarare migliore una pizza canotto rispetto a una pizza tradizionale.

Insomma, il cornicione a cosa serve nella pizza tradizionale come in quella contemporanea?

A contenere il condimento aka topping che va sulla pizza, è la risposta basica.

Il segno contemporaneo della pizza è proprio affidato al cornicione pronunciato. La legge dei social lo ha promosso a bandiera di viralità rispetto al fratello tradizionale.

Più alto è il cornicione, più dorata è la pizza, meno bruciature ci sono e tanti più like quella foto conquisterà.

Semplice.

A questo primo messaggio di viralità si è accompagnato un valore maggiore: il cornicione alto e pronunciato può essere motivo di distinzione nell’offerta gastronomica di una pizzeria e consentire le conversioni, cioè passare dai like ai clienti seduti a tavola?

La risposta è sì.

Un pizzaiolo campione della tradizione – che non cito per evitare di far parte dell’albero di Natale – mi diceva durante le Olimpiadi della Pizza che effettivamente la pizza canotto attrae e le pizzerie che la propongono sono piene.

Ovviamente è un’affermazione di tendenza perché non è detto che tutte le pizzerie che fanno una pizza canotto siano in grado di sfornare una pizza buona, digeribile, con buoni ingredienti di farcitura e cotta bene.

Come è chiaro che ciò non avvenga in tutte le pizzerie di stampo tradizionale.

Quindi i caratteri che tanto piacciono oggi e cioè digeribilità, scioglievolezza, fragranza, il velo di crunch, l’olio extravergine di oliva, il pomodoro San Marzano, il fiordilatte che non allaga, la mozzarella che fa figo, la verdura raccolta dalla vestale che scende dal monte durante la luna piena possono essere appannaggio sia della pizza tradizionale che di quella contemporanea. E, udite – udite, anche di una “focaccia”.

La questione spinosa è sempre la stessa: ma per creare il suo canotto il pizzaiolo avrà fatto ricorso al doping delle farine o a qualche trucco non dichiarabile?

Ma se ci pensate, è la questione parallela della pizza tradizionale: nell’impasto ci sarà un po’ di olio o di grasso? Solo che l’abbiamo dimenticata.

Perché ci sono pizzaioli che vanno oltre farina – acqua – sale – lievito? Sì, ci sono. Sia nella pizza tradizionale che nella pizza canotto.

Abbiamo un po’ tutti la memoria corta, tranquilli. Così ad esempio dimentichiamo che già esisteva la pizza fina di pasta o alta di pasta anche nel centro di Napoli.

Ora senza tediarvi troppo su argomentazioni bibliche che ruotano attorno al concetto che non c’è tradizione senza innovazione e volendo invece rimarcare che l’importante al tempo contemporaneo è fare cassetto in maniera intelligente (perché la pizzeria è un luogo del vendere), vi invito ad andare alla pizzeria di Giuseppe Pignalosa a Ercolano.

Ne ho scritto su questa nuova Le Parùle che praticamente mette fine alla diatriba pizza canotto – pizza tradizionale.

Perché il buon Pignalosa ha trasformato la pizzeria di famiglia, che nella più benevola delle definizioni poteva essere annoverata tra una delle tragiche sale tutta alluminio e piastrelle buona per le comunioni e i battesimi, in un contenitore moderno, rectius, contemporaneo conservando solo il nome legato alla tradizione.

E in questa pizzeria ha fatto l’operazione più saggia possibile: prepara due impasti diversi e con i due nuovi forni a disposizione (che sono a legna) prepara sia la pizza tradizionale che quella contemporanea.

Così vi sedete, scegliete la tipologia che più vi piace e se siete abituati potete fare pure scambio con il vostro commensale che casomai avrà ordinato l’altra tipologia.

Questa si chiama libertà di scelta. Altro che disquisizioni buone per addobbare l’albero di Natale.

PS. A tacere del fatto che una pizza cotta male fa venire i dolori di pancia sia se è tradizionale che canotto.

Di Vincenzo Pagano

Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.