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Milano. Cena stampa per scoprire il menu di Orma Bruna tra Marche e Abruzzo

lunedì, 17 Febbraio 2020 di

svinando

Orma Bruna, nel design district storico di via Tortona a Milano, è Marche e Abruzzo in versione contemporanea.

Anzi a dirla tutta, nella versione di un ischitano.

Che è poi Achille Esposito, 26 tosti anni, un numero di esperienze in varie città e a Milano già ai fornelli di Bioesserì e di Boatta, il ristorante che ha lasciato il posto a Japonito – ma ve ne ho parlato. Che giri strani fanno, a volte, cose e persone.

Aperto inizialmente per aperitivi, cene e business lunch feriali, Orma Bruna ha da poco introdotto il pranzo del sabato; chiusura domenicale, piccolo dehors estivo, una quarantina i coperti. Occupa due livelli, lunghi e stretti, molto ben disegnati dall’architetto Ottavio Tozzo.

Un nome che si rifà al legame con la terra

Orma Bruna, con questo nome che io credevo riferito all’impronta dell’orso marsicano (e invece si rifà alla terra), propone ingredienti centro-italici, di mare e di montagna, tra cui vari presidi Slow Food. Tanti sono i richiami alla tradizione, poi c’è la creatività rivisitatrice, come nell’animella di vitello qui sopra.

Sono piatti attenti alla bellezza senza un impiattamento maniacale: per me un pregio.

Dalle portate della cena stampa che vi racconto capirete l’effetto che fa. Partiamo.

Accoglienza con Olio Cortese, servito col pane e grissini fatti in casa, lunghissimi, sottilissimi, simili ai rami di un arbusto. Due le proposte olearie, che però assaggio in purezza: un monocultivar di tenera ascolana e un blend di tenera ascolana e leccino. Mi soffermo sul passaggio dell’olio per passione, ma anche perché tutti dovremmo approfondire la conoscenza di questo prodotto che ci parla di luoghi, di frutti, di uomini, di lavoro.

Anche i colori sono sapori

Orma Bruna Milano arancino zafferano

Si parte con un calice di Gustav, Pinot Grigio terre di Chieti, abbinato all’amuse-bouche, un Arancino allo zafferano, dalla crosta sottile dorata e croccante, su tartare di gambero rosso di Mazara e limone e un ciuffo di maionese allo zafferano de l’Aquila. Una presentazione super-optical, quella della foto qui sopra.

Polpo alla piastra, cacio abruzzese, prezzemolo e aglio nero, cioè polpo fresco pescato nel Mediterraneo e sbollentato con vino rosso, limone, carote, pepe nero e sedano poi raffreddato, scottato alla piastra e servito con una fonduta di pecorino abruzzese stagionato 18 mesi, una salsa al prezzemolo e una all’aglio nero. Molto grafico, e sicura conferma che il formaggio e il pesce si amano e si fanno amare.

Nei calici con gli antipasti un Verdicchio Castello di Jesi Stefano Antonucci, piccola azienda che ha fatto anche delle etichette sempre diverse un’attrattiva. I carnivori continueranno poi con un Montepulciano d’Abruzzo Testarossa del 2014.

Uovo 62°, zucca, tarallo strutto e pepe, tartufo marchigiano. L’uovo, cotto per un’ora è servito su purea di zucca napoletana al forno con tarallo, strutto, pepe e mandorle sbriciolate. Servito bello nascosto sotto una grattugiata di tartufo nero fresco, pronto a uscire come un sole alla prima cucchiaiata decisa. Un po’ in ogni piatto, i colori sono sapori.

Risotto Milano-Abruzzo. Piatto-signature e piacione, perché il risotto a Milano è pur sempre una captatio benevolentiae. Qui il giallo è lo Zafferano di Navelli, gli altri colori-sapori sono invece polvere di peperone dolce di Altino, liquirizia e jus di vitello cotto al vino.

Timballo Teramano vegetariano. Qui la mia ola personale, ma so di essere di parte perché amo le scrippelle, cioè le crespelle abruzzesi. Questo timballo a 10 strati le alterna a besciamella e verdure di stagione: e giù carciofi, zucchine, melanzane, pioppini, pecorino, grana e pepe. Più tre salse colorate da inseguire nel piatto: arancione al peperone dolce di Altino, presidio Slow Food; bianca alla fonduta di pecorino; verde alla riduzione di prezzemolo.

Spaghetto “Mancini” con moscardini, crema di patate alla cenere e paprika: belli i moscardini che sgambettano sul nido di pasta, che poggia su una crema di patate cotte sotto la cenere e si vela di una spolverata di paprika dolce.

Costine di maiale e salsa BBQ, cavolo cappuccio e purea di mela rosa del Piceno. Marinatura con miele e senape, cottura a 72° per dodici ore, gratinatura al forno con pennellate di salsa barbecue – una ricetta di Gualtiero Marchesi, cui lo chef ha aggiunto il peperone dolce di Altino – e via nel piatto con una julienne di cavolo cappuccio saltato e marinato all’aceto di lamponi, la purea di mela rosa e uno jus fatto con scarti del maiale.

Baccalà in umido come da tradizione, cioè fritto in pastella e servito su guazzetto di pomodori, capperi e olive, ma senza i peperoni della ricetta originale.

Un predessert, Lastrine di fondente e cioccolato bianco con sale Maldon e lampone disidratato, Giusta premessa croccante un dessert tenero…

Semifreddo al pistacchio, pera all’anisetta Meletti e liquirizia. Piccolo e non troppo dolce. Giusto così.

Caffè del Marinaio, che sarebbe corretto con rhum e anice. Una bomba che scalda chi è già (o chi è ancora) in piedi all’alba.  

Quanto costa l’Orma Bruna e quando andarci

C’è, ed è intrigante, un menu degustazione a mano libera di cinque portate ogni giorno diverso, al prezzo di 55 €, con possibile abbinamento di due calici (+ 15€) o tre (+ 20€).

Alternativa più tranquilla, il menu dal nome “Ieri, oggi e domani come da tradizione”. Praticamente 5 grandi classici della cucina regionale, dalle pallotte cace e ove alle pesche dolci abruzzesi, al prezzo di 50€, con le stesse opzioni di vini abbinati di cui sopra.

C’era anche un menu di San Valentino, incluso nella nostra selezione.

Ma ecco anche una media dei prezzi à la carte: antipasti 12€, primi 15€, secondi 23€, dessert 8€. Bottiglie dalla cantina, che privilegia etichette regionali ma si allarga anche altre belle sorprese. E non manca la birra.

Un consiglio? Meglio andarci prima del delirio della Design Week; tornarci durante, solo se in possesso di solida prenotazione; bissare quando il quartiere torna calmo.

Orma Bruna.Via Montevideo, 4. Milano. Tel. +393896078866

[Immagini: iPhone di Daniela; Penelope Vaglini]

Di Daniela Ferrando

Milanese, trent’anni di copywriting e comunicazione aziendale. Le piace che il cibo abbia le parole che merita: è cultura. Parlando molto e mangiando poco, non si applica nel suo caso il “parla come mangi”.