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Pasta liscia

Coronavirus. La sconfitta di penne lisce e farfalle mi deprime

martedì, 25 Febbraio 2020 di

Non pensavo di essere attaccata così duramente per il mio post ipocondriaco sui 10 cibi da mettere in dispensa in caso di quarantena, scritto quando di quarantena manco si parlava.

E non voleva nemmeno essere una profezia, visto che nemo propheta in patria.

Ma ora mi tocca ritornare sulla questione. Non tanto perché la lista andava bene per un allarme nucleare, come specificato dal link nel testo.

Ma perché nella lista c’è al punto 2 la pasta.

In un Paese di pastaioli pronti ad aprire il fuoco sulla carbonara di Gordon Ramsay solo perché non è romano de’ Roma e quindi non può prepararla bene (mentre Biagiarelli, sì e per giunta usando lo stesso video) e a scagliarsi contro il grano importato dall’estero (a proposito, ne abbiamo di grano nella zona rossa?) tanto da costringere aziende a creare linee di pasta con solo grano italiano o a stilare classifiche da supermercato, non ho potuto fare a meno di osservare che finanche l’Huffington Post ha dedicato un articolo al tema delle penne lisce.

Eh sì, perché dovete sapere che, nella folle corsa agli approvvigionamenti da temuta guerra termonucleare che rischia solo di creare insetti in pacchi che saranno abbandonati in attesa del prossimo allarme, il grande sconfitto con tanto di gogna social mediatica sono le penne lisce.

Abbandonate sugli scaffali ormai vuoti a segno di profondo disprezzo – chiosano i tweet e gli stati di malessere social – che manco gli appestati sembrerebbero volere.

Mi sono chiesta il motivo di questo rifiuto. E non ho saputo darmi risposta.

Ho chiesto al capo che di pasta se ne intende.

Risposta laconica come se non avvertisse il peso di questo sfacelo da catalogo.

“Non trattengono il sugo se non è fatto bene, se è troppo liquido”.

Ma si vedeva lontano il miglio necessario a stare in zona sicura (a proposito, ma se tutti si riversano in massa a fare acquisti al supermercato non si moltiplicano le inutili possibilità di contagio?) che l’argomento non lo toccava.

Ho ripensato alla carbonara allo stato liquido di Ramsay e ai rigatoni con la pajata che mi ero spazzolata al termine dell’allarme della mucca pazza che aveva eliminato la bandiera romana dalle nostre tavole.

Ecco, perché non si usano le penne lisce al posto dei rigatoni, per dire?

Chiamo amico pajataro. La risposta più o meno suona così: “I rigatoni sono per i fessi come noi. I maccaronari napoletani li spedivano fuori dalla loro zona”.

Verrò lapidata per questo, ma sembra che la semola peggiore fosse utilizzata per i formati rigati che coprivano i difetti. Ma la forma rigata guardata in sezione fa(rebbe) capire che la cottura non sarà mai omogenea. Anche se offre maggiore grip al sugo e al tempo del fate presto in cucina e, orrore, dei sughi pronti, è ovviamente più facile da usare.

Sono rimasta interdetta. Dopo l’ostracismo per i lombardo-veneti nuovi untori del coronavirus (cose da pazzi), ora tocca sorbirmi l’ondata di disprezzo per noi rigatiani anche se l’obiettivo sono le penne lisce.

Riscrivo al capo e chiedo se esiste una pregiudiziale sui formati rigati.

Mi manda una foto di candele con la genovese e una dei paccheri in piedi con il ragù di Lino Scarallo, chef stella Michelin del ristorante napoletano Palazzo Petrucci. E una dei rigatoni cacio e pepe del ristorante sempre stellato Lido 84 a nord.

E l’inevitabile chiusa.

“Possibile che stai dietro a queste cose?”

Vorrei rispondere con un post su Facebook che ho letto.

Ma lo posto qui.

Non fate scorte, imparate a cucinare!

#iostoconlepennelisce #iostoconlefarfalle