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Il ragù napoletano, la ricetta scientifica

giovedì, 25 Ottobre 2018 di

Il ragù (‘o rraù) è un invito a nozze con la pasta.

Quello napoletano, quello godurioso, tradizionalmente “scuro”, protagonista di film e commedie napoletane, usato per condire generosamente la pasta lunga spezzata a mano, i paccheri ripieni di ricotta e poi ripassati in forno come fa lo chef stellato Lino Scarallo di Palazzo Petrucci con i suoi paccheri all’impiedi, la restante carne servita come secondo piatto accompagnato da un bel contorno di verdure saltate (come i friarielli).

Eppure, non è un piatto così conosciuto. E come mai, vi chiederete. Saranno le mille varianti, praticamente anche da un piano all’altro dello stesso condominio? La lunga fase di cottura, che cammina ad una velocità davvero diversa dai “ritmi” moderni? Forse l’eccessiva “grassosità” del risultato finale?

Di certo, se non volete carne c’ ‘a pummarola, la lunga cottura la dovete rispettare.

E prepararlo con almeno 24 ore d’anticipo, per far sì che il tutto “s’insaporisca” a dovere.

Rimango però scettico sulla possibilità di “alleggerirlo” almeno un po’ (e io che sono un “eretico” sarei ben contento di modificare qualcosa). E quindi, questa volta, ci limiteremo a migliorare alcune fasi della preparazione, cercando di mantenere intatte le caratteristiche finali.

Come? Chiedendo aiuto alla scienza. Ricorreremo a Dario Bressanini, il nostro amato prof, di cui sfrutteremo alcuni spiegoni e alla nostre istruzioni per una ricetta perfetta.

La ricetta del ragù napoletano scientifico in 5 punti

Ingredienti (per 4 persone)

800 g circa di carne (in un solo pezzo o a cubi grossi almeno 4/5 cm di lato)
500 g di carne a fette (braciole) per involtini (almeno due fette spesse)
1 o 2 salsicce a punta di coltello (almeno 200 grammi)
400 g di cipolle dorate
120 g di strutto
100 g di pancetta tesa dolce a fette sottili
100 g  di pancetta tesa dolce in un sol pezzo
300 ml di vino rosso secco
1 tubetto di triplo concentrato di pomodoro
2 bottiglie di passata di pomodoro da 700 g (meglio se casalinghe) oppure 3 barattoli da 800 g di pomodori pelati, Roma o San Marzano
150 g di formaggio pecorino
60 g di caciocavallo in cubetti
2 spicchi d’aglio
30 g di pinoli tostati
un ciuffo di prezzemolo
un ciuffo di piperna (timo selvatico)
2/3 foglie d’alloro
olio evo q.b.
sale grosso, pepe
400 g di candele, ziti o zitoni spezzati a mano (meglio se di Gragnano)

1. Le carni

Piccola premessa: addentrarsi nelle varie nomenclature locali è impresa ardua, quindi mi scuserete per quelle che potrebbero sembrare delle imprecisioni.

Evitando la noce, taglio posteriore di prima scelta, detto a Napoli pezza a cannella, e preferendo la spalla, taglio anteriore di seconda scelta (nella versione con la carne in pezzi anche il biancostato ben pulito o il collo vanno bene), ricordiamo che la tradizione vuole che il “pezzo” intero sia da bardare (e non lardellare).
La bardatura è operazione ben nota in cucina, che consiste nell’aggiungere alla carne, rivestendola, del grasso come fette di prosciutto crudo particolarmente grasso, lardo e/o pancetta tesa dolce, che io finisco con il preferire.

Tra la carne ed il “grasso” qualche rametto di piperna (se la trovate), ovvero timo selvatico, e spago da cucina a stringere.

Passiamo ora alle braciole, fondamentali quanto il “pezzo di carne”.

Per tradizione si preferisce sempre siano di sottospalla, taglio anteriore di seconda scelta ricavato tra la punta di petto, il collo e la spalla del bovino adulto, noto a Napoli e dintorni come locena.

A parer mio è possibile usare anche altri tagli, come la stessa noce o il reale.

Tanto le vere diatribe si hanno sul loro ripieno: esistono famiglie ormai divise da anni per i pinoli orfani dell’uvetta, per gravi indecisioni tra pecorino, caciocavallo o tutti e due assieme, per la presenza o meno della mortadella (a casa mia assolutamente sì), per il malefico aglio… Per finire con le dispute sulla loro modalità di chiusura, che crea forti liti in vari condomini partenopei per l’uso dello spago alimentare, piuttosto che del cotone sottile o degli stuzzicadenti.

A rigore, comunque, il ripieno dovrà essere con uva “passa”, pinoli, aglio, prezzemolo, caciocavallo in cubetti e pecorino grattugiato.

Poi, non v’ammazzerà nessuno, regolatevi secondo gusto personale.

E chiudiamo con la carne di maiale, la cui presenza approvo, ma con moderazione: aggiungo un paio di salsicce ed evito le costine (‘e tracchiulelle nella lingua di Eduardo) che amo in altre cotture.

2. Il pomodoro

Di sicuro il concentrato dovrà essere almeno doppio, meglio triplo, e i pomodori pelati passati senza liquido di governo, anche se alcuni prodotti come i San Marzano, conservati nel loro succo, rendono più che bene.
Possiamo anche scegliere una buona passata, selezionandone una non troppo liquida.

Il meglio lo danno le “bottiglie”, ovvero le conserve casalinghe, quelle nelle bottiglie della birra, per capirci.

3. La cottura – fase 1

Siamo giunti al momento fondamentale.

Mandate i bimbi dalla nonna, il marito e/o la moglie al bar o a fare shopping, insomma eliminate le possibili fonti di distrazione (anche se una moglie che fa shopping, in alcuni casi, potrebbe essere comunque fonte di preoccupazione).
Non lesinate sulle pentole, ovvero sporcatene qualcuna in più, che tanto poi le metterete in lavastoviglie.

Sarebbe meglio una pentola di coccio, ma non preoccupatevi,  una in alluminio, alta, piuttosto capiente, andrà benissimo. Una retina spargifiamma, utilissima per le lente cotture, un coperchio in vetro.

Olio, parte dello strutto, le cipolle sminuzzate, l’alloro (che poi toglierete), niente sale per ora, fuoco al minimo, il coperchio per aiutarsi nella fase iniziale.

Altro fuoco, altra pentola, una padella larga, meglio se antiaderente, olio, fuoco vivace. È cominciata la parte scientifica.

Nella prima pentola, quella con il soffritto di cipolle (mi raccomando non lesinate con i grassi, altrimenti direte addio ad una parte del sapore), aspettate che la verdura cominci a espellere l’acqua, ammorbidendosi. E non mettete sale, per ora.

Altrimenti, per osmosi, l’acqua contenuta dalla cipolla verrà estratta troppo rapidamente e la stessa rischierà di bruciare. Insomma tenete d’occhio, altrimenti sarà necessario buttare tutto e cominciare da capo.
Se non avete impostato un ragù “salutistico”, non sarà necessario aggiungere acqua.
Non ci vorrà un’eternità e quando vedrete la cipolla iniziare ad imbrunire vorrà dire che è arrivato il momento di salare, la reazione di Maillard (quella che dona i caratteristici sapori, come avviene con la carne) è avvenuta.

Vi avevo detto di preparare un’altra pentola: contemporaneamente al soffritto (dai, vi sentirete un po’ più chef, con più preparazioni sul fuoco), nell’altra padella, quella antiaderente, mettete olio e strutto (non eccessivi), fate andare a fuoco vivace e scottate separatamente la pancetta tagliata a cubetti irregolari e poi, man mano, la spalla a cubi, le braciole, le salsiccie, deglassando con un po’ di vino il fondo che resta nella padella. Tenete da parte questi sughetti di volta in volta ottenuti, saranno una “riserva speciale di sapore” per il vostro ragù.

Ho semplificato troppo? Se volete saperne di più potete seguire gli step dell’esperimento-ricetta di Dario Bressanini per lo spezzatino.

P.S.: i tradizionalisti potranno anche prepararlo in maniera classica.

4. La cottura – Fase 2

A questo punto uniamo le carni al soffritto, alzando appena appena il fuoco.

La carne comincia a sfrigolare? Aggiungete un bicchiere di vino. Io, preferisco l’Aglianico.
L’alcool contribuisce a sciogliere alcune molecole che erano rimaste imprigionate nella cipolla e nella carne. In più le componenti aromatiche del vino aggiungeranno il gusto del ragù.

Ad alcool evaporato sarà il momento di aggiungere il concentrato di pomodoro, con la preparazione che dovrebbe essere sufficientemente grassa per accoglierlo. Un po’ alla volta: aiutatevi con un cucchiaio di legno, fate assorbire, e ripetete l‘operazione.

Fisseremo colore e sapore. Né più né meno come si farebbe per il ragù concorrente, quello “alla bolognese” come lo fa il tristellato Massimo Bottura.

A concentrato completamente assorbito inserite il pomodoro, scegliendo tra le varie opzioni prima elencate, e sappiate che siamo a buon punto.

La carne dovrebbe essere ora coperta, con la giusta dose di liquido che, con la successiva cottura, andremo praticamente a togliere, asciugandolo, e rendendo il ragù scuro ed abbastanza compatto.

Con il coperchio sollevato da un lato dal cucchiaio di legno parte ora la fase finale: il ragù deve pippiare, ovvero cuocere lentamente senza bollire. Vediamo il perché.

Per una cottura lunga, che permetta alla carne di “regalare” sapori e umori al pomodoro, utilizzeremo della carne con una discreta presenza di tessuto connettivo. Bene, sappiate che affinché questa carne si sfaldi non dovremo mai portare a ebollizione l’intingolo, portandolo tuttavia a temperature superiori ai 75º. Per esperienza diretta vi dico che sui fuochi casalinghi si riesce a tenere agevolmente la temperatura a 90º, e vi invito a seguire sempre il nostro Bressanini.

C’è chi toglie la carne e la rimette alla fine, io lascio tutto lì, a pippiare. Alcune ore, dare tempi è piuttosto relativo, e il gioco sarà fatto (restate comunque guardinghi, mi raccomando, la carne tenderà sempre ad attaccare sul fondo).

5. La pasta

Il concetto è ben noto: “tanto lavoro non merita una pasta scadente”.

Vi consiglio di utilizzare i prodotti un buon pastificio artigianale di Gragnano.

In questo caso con maccheroni, mezzi paccheri o paccheri non si incorre nelle ire di alcun purista.

L’apice è raggiungibile usando candele o ziti lunghi, con una personale preferenza per il primo formato; sono entrambi da spezzare a mano, creando così quella minutaglia che resta sul fondo del piatto, da raccogliere con il sugo restante.

La potete cuocere in maniera classica, oppure sfruttando la nostra cottura scientifica.

Ah, mi raccomando, qualunque sia il formato scolatelo benissimo.

P.S. Se ne avete voglia immediata, dovete affidarvi a un sugo pronto. Come quello di Giorgio Scarselli, di Luciano Bifulco o di Sabatino Cillo.

[Immagini: Scatti di Gusto, Francesco Arena, Luciano Furia, Vincenzo Pagano]

La ricetta scientifica spiegata in 5 punti

Cacio e pepe
Pasta, patate e provola al forno
Ragù napoletano
Papaccelle ‘mbuttunate
Focaccia messinese
Risotto alla parmigiana
Pasta e fagioli
Cartellate pugliesi
Tortelli di zucca