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nuovo decreto anti coronavirus e assembramenti ai ristoranti

Nuovo decreto Draghi: micro zone e misure diverse per bar e ristoranti

Il nuovo decreto anti coronavirus che il Governo di Mario Draghi si appresta a formulare dovrebbe evitare le incertezze e il last minute
domenica, 21 Febbraio 2021 di

Un nuovo decreto del Governo di Mario Draghi è atteso questa settimana. E dovrà tenere conto anche delle proteste di ristoratori, chef, pizzaioli in tre regioni. Che non ci stanno alla “nuova” zona arancione che ha chiuso da oggi le attività di ristorazione a pranzo per almeno due settimane.

Per loro di riapertura se ne riparlerà domenica 7 marzo. Se andrà tutto bene, anche se lo slogan della speranza è alquanto liso.

E se soprattutto la riunione con i Governatori della Regione, convocata per oggi alle 19 dal Presidente del Consiglio, darà i frutti sperati con il nuovo decreto.

Zona arancione. No per tutta l’Italia

L’ipotesi di una colorazione uniforme in zona arancione dell’Italia avanzata dal presidente della conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, non ha trovato consenso. E probabilmente non sarà nemmeno discussa al tavolo di concertazione.

La strada che molti vorrebbero seguire è mantenere il sistema a zone, ma con un’applicazione comunale e al massimo provinciale.

La richiesta è di una semplificazione dell’iter di ingresso e di uscita dalle zone. Ma la suggestione delle micro zone da isolare rischia di disegnare una mappa a macchia di leopardo. Che finirebbe con il rendere ancora più incomprensibile i divieti dei colori.

Un gigantesco puzzle che con una corretta applicazione eviterebbe l’inutile sacrificio di chiusure in territori meno abitati. Ma che richiederebbe uno sforzo immane per effettuare i controlli ed evitare gli spostamenti interzonali.

Nuovo decreto: più vaccini suona come lotta all’evasione

Il refrain che ora va di moda è “avanti tutta con i vaccini”. La richiesta al Governo, formulata nei giorni in cui le case farmaceutiche hanno rivisto al ribasso le forniture per l’Italia, suona come i tentativi di chiudere i buchi di bilancio con la medicina. Cioè il famoso “Lotta all’evasione” per accomodare il debito. Sappiamo come è andata a finire con gli ennemila Governi che hanno inserito la posta nelle dichiarazioni programmatiche.

Un bel buco nell’acqua.

Però, chiudere tutto sperando in un lockdown salvifico non è attuabile. Anche se è ancora viva la lezione del mancato abbassamento della curva dei contagi che ha portato allo sfracello natalizio dei ristoranti.

Mettere in salvo la Pasqua è la parola d’ordine sperata più che sussurrata in queste ore. Complice il primo sole che ha alzato la voglia di stare e mangiare fuori, si pensa ormai al pranzo di Pasqua e Pasquetta per risollevare conti e aziende.

Un sentiment che fa a cazzotti con la logica.

Breve storia dei divieti per i ristoranti

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All’inizio o, meglio, quasi al termine del lockdown abbiamo assistito all’attacco delle posizioni dell’Inail e dei famigerati metri (lineari e quadrati) reputati necessari per riaprire in sicurezza i ristoranti.

Ne andava della sostenibilità economica. La battaglia feroce ha portato a una situazione di compromesso che ha messo nel mirino le attività di ristorazione. Reputate pericolose per il contagio nonostante le misure pattuite.

Il bello, giova rinfrescare la memoria, che la battaglia di aprile 2020 vide in prima linea Stefano Bonaccini. Il Governatore dell’Emilia Romagna varò il regolamento per riaprire i ristoranti con misure inferiori per forzare la mano al Governo. E ci riuscì creando quella crepa in cui si sono infilate tutte le obiezioni circa la sicurezza.

Lo stesso Bonacini che un paio di giorni fa ha proposto l’Italia tutta zona arancione. E quindi con la chiusura totale dei ristoranti. Il bello della coerenza.

Poi siamo passati al servizio solo a pranzo e solo in zona gialla. Ovviamente folle inferocite di ristoratori alle prese con i conti e la sostenibilità economica. Abbiamo assistito alle migliori tesi complottistiche chiuse dalla ciliegina sulla torta degli assembramenti al supermercato, a scuola, sui bus. Nessuno che rammentasse che si mangia senza mascherina sulla bocca.

La zona arancione e la zona gialla nel nuovo decreto

Poi la zona gialla e il servizio a pranzo sono diventati il nuovo Eldorado dei ristoratori. Con file mai viste davanti ai tavoli nel weekend. E scarsissima attenzione agli assembramenti conseguenti.

Messi in un cantuccio i 4 commensali a tavolo, se non conviventi, e salutate le prenotazioni che avrebbero permesso in teoria una migliore gestione dei flussi, abbiamo fatto come se fosse già estate. Errori compresi.

Tenere alta la guardia è difficilissimo perché richiede comportamenti contro natura sociale. Tant’è che in un impeto di generosità, le associazioni di categoria hanno richiesto l’apertura serale almeno fino alle 22. E hanno anche detto che il Cts era d’accordo traendo in inganno mezzo mondo. Niente dolo, sia chiaro, ma la speranza di tutti è quella di ritornare alla normalità. Solo che queste richieste erano formulate mentre contavamo 500 morti al giorno.

E nel nuovo decreto c’è da chiarire la questione della maggiore o minore pericolosità del servizio al tavolo rispetto al bancone. Che vorrebbe dire misure differenti per bar e ristoranti.

In ogni caso restare a galla è difficile e non aiutano sostegni, prestiti, ristori e casse integrazioni che faticano ad arrivare.

Di chi è la colpa della zona arancione

L’incertezza, quella che si vorrebbe combattere chiedendo più vaccini e micro zone in lockdown, è il muro che deve abbattere Mario Draghi. Costi quel che costi.

Ne sapremo di più alle 19. Anche se i rumors dicono proprio che Draghi voglia evitare incertezze e far chiudere i ristoranti la sera per la mattina con spreco di derrate alimentari e maggiore confusione.

E andiamo a Napoli e alla zona arancione. Perché qui c’è lo scontro tra ristoratori e commercianti.

Per i commercianti è colpa dei ristoratori.

Il presidente della Federazione del Commercio Enzo Perrotta, intervistato dal Mattino dice: “Io chiedo agli amici ristoratori, soprattutto quelli di certe zone di Napoli, perché non hanno dato il loro contributo a un contenimento del caos? Perché non si sono resi conto che con gli affollamenti delle ultime settimane era logico che arrivassimo a queste nuove restrizioni? Adesso non possono piangere sul latte versato, non possono mostrarsi increduli di fronte a una situazione che loro stessi hanno contribuito a creare”. 

Poi sottolinea che non tutti si sono rilassati ma intanto il dito è puntato. Bastava rinunciare a una parte della clientela per evitare assembramenti in attesa del tavolo e oggi forse sarebbero stati aperti.

Perché l’indignazione dei ristoratori, a Napoli come in ogni altra città e Regione diventata zona arancione, è altissima. Non averli fatti lavorare la domenica avvertendoli di fatto il venerdì sera assomiglia alla beffa oltre al danno.

Il nuovo decreto dovrebbe evitarlo anticipando i tempi dell’effettiva applicazione delle misure.

Di Vincenzo Pagano

Fulminato sulla strada dei ristoranti, delle pizze, dei gelati, degli hamburger, apre Scatti di Gusto e da allora non ha mai smesso di curiosare tra cucine, forni e tavole.