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Struffoli napoletani, la ricetta scientifica

domenica, 15 Dicembre 2019 di

Sono in molti a ritenere gli struffoli il dolce più napoletano che ci sia, mettendoli praticamente alla pari di sfogliatella, babà e pastiera.

Presenza irrinunciabile nelle vetrine di tanti professionisti partenopei , appare più facile considerarli come il più Natalizio dei dolci napoletani, semplicemente molto vicino alle varie “cicerchiate” del centro Italia, non dissimili dalla pignoccata siciliana o dai sannacchiudere tarantini.

Probabilmente frutto di contaminazioni e incontri fra varie culture gastronomiche, queste più o meno piccole palline di pasta ottenuta mescolando farina, uova, burro (strutto), zucchero e liquore all’anice, poi fritte e ricoperte da abbondante miele e confettini di zucchero, per molti sembrerebbero non avere origini prettamente italiane, in quanto, pare che nel Golfo di Napoli ce li abbiano portati i Greci ai tempi di Partenope (a supporto di ciò si indica, forzatamente a mio parere, la teoria che li assimila alle loukoumades [λουκουμάδες], frittelle lievitate dolci di derivazione turca presenti nella cucina greca)

È come sempre Raffaele Bracale, lo studioso di “cose” partenopee, ad indicarci una strada diversa: détto dolce è originariamente un dolce napoletano nato tra la fine del XVII sec. ed i principi del XVIII nelle cucine di monasteri femminili napoletani – precisamente ad opera delle monache della Croce di Lucca e di S. Maria dello Splendore.

Cosa che farebbe apparire maggiormente plausibile un’origine spagnola, visto il periodo di vicereame spagnolo a Napoli, dal XIV al XIX secolo, e la presenza nella cucina andalusa di un dolce molto simile chiamato piñonate, anche se dalla forma più allungata rispetto agli struffoli.

Inquadrata quindi l’origine, dubbi restano nell’etimo, anche questo da più parti ritenuto di origine greca: secondo gli storici, deriverebbe precisamente dalla parola στρόγγυλος (stróngylos, pron. “strongoulos” o “stroggulos”), in poche parole “di forma tondeggiante”, ma c’è anche chi sostiene che, invece, “struffolo” derivi da “strofinare”, ovvero il gesto compiuto da chi lavora la pasta per arrotolarla a cilindro prima di tagliarla in palline.

È ricetta popolare, dalle mille interpretazioni e dai mille aneddoti,  non per niente sembrerebbe tale l’indicazione che gli struffoli siano un dolce tipicamente natalizio in quanto il corpo del Bambino Gesù viene definito “roccia che dà miele”.

L’unica certezza è rappresentata dall’impossibilità di indicare la ricetta univoca, fidatevi.

È ricetta quindi “tradizionale”, cosa alla quale, almeno a Natale, non si può venir meno.

E tra le tante, tantissime ricette sul web, quella presente sulle nostre pagine elaborata dallo chef Domenico Iavarone, nuova stella Michelin del ristorante Josè di Torre del Greco, m’è parsa abbastanza vicina ai canoni classici (c’è lo strutto, anche se da modernista avevo strizzato l’occhio soprattutto per l’uso della planetaria).

La ricetta scientifica degli struffoli per Natale

INGREDIENTI  (per 10 persone)

Impasto

  • 500 g di farina 00
  • 10 g di zucchero
  • 40 g di liquore all’anice
  • 150 g di strutto
  • 4 uova intere
  • 5 g di sale

Condimento e guarnizione

  • 300 g di miele di millefiori
  • Diavoletti q.b.
  • Cannellini fini q.b.
  • Confettini colorati q.b.
  • Frutta candita q.b.
  • 1 l di olio per friggere (di arachidi)

1.L’impasto

Se parliamo di dolci, per quanto di matrice popolare e soprattutto in questo caso non “dolcissimo”, non possiamo prescindere da qualche approfondimento in quelle che sono delle consuetudini.

Sappiamo tutti che l’impasto è composto da farina, uova, zucchero, burro (strutto) ed eventuali aromi, ma poi, possiamo definirla abbastanza vicina ad una frolla? E se sì, di che tipo?

Partiamo dal principio che in pasticceria i riferimenti validi sono quelli transalpini.

E ricordiamoci anche che, quando parliamo di grassi al sud, con l’olio un tempo poco “accessibile”, ed il burro praticamente diffuso solo al nord, era lo strutto a farla da padrone.

Sia chiaro, noi regoliamoci come più ci aggrada: nessuno ci accuserà di lesa maestà dovessimo decidere di utilizzare il burro.

Di frolle, sostanzialmente, ne possiamo elencare 3 tipi in base al metodo di lavorazione (sabbiata, classica, montata) e ben 5 in base al bilanciamento degli ingredienti:

montata, con almeno il 60% di burro rispetto alla farina;

sablé, con oltre il 50% di burro rispetto alla farina;

comune, con il 50% di burro e il 30-40% di zucchero rispetto alla farina;

milano, con il 50% di burro e di zucchero rispetto alla farina;

• per fondi, con meno del 40% di burro rispetto alla farina.

Con i metodi sabbiato e montato e con percentuali elevate di burro, si ottengono prodotti più friabili, con il metodo classico e dosi minori di burro il risultato sarà più compatto e meno friabile.

Qui useremo, quindi, qualcosa che si avvicina abbastanza all’impasto per fondi.

Punto d’attenzione: ricordandovi la proporzione 125 g di burro = 100 g di strutto, vi consiglio di utilizzare il metodo sabbiato, ovvero di intridere la farina con il nostro grasso ammorbidito, impermeabilizzandola, impedendo quindi alle proteine del glutine di entrare a contatto con i liquidi successivamente aggiunti (negli albumi il 90% è acqua) e di sviluppare quindi la maglia glutinica.

Importante è lavorare velocemente l’impasto tenendo presente che poca maglia glutinica = molta friabilità.

2. La dimensione e la forma

Sembra particolare secondario ma, per ottenere un risultato finale ottimale, ovvero il giusto mix tra morbidezza, croccantezza e sapore, il vero struffolo deve essere piccolo.

Questo perché così aumenta la superficie di pasta che entra in contatto col miele, e il sapore ne guadagna. E questo avviene soltanto se si confezionano delle palline di pasta di piccole dimensioni.

Ecco perché, dopo aver fatto trascorrere il tempo di riposo in luogo fresco, sarà importante prendere l’impasto e dividerlo in 4-5 palline piccole che andranno successivamente arrotolate una ad una, come dei cordoni.

Qui la dimensione è importante, ma la deciderete voi, secondo il vostro gusto.

Un diametro massimo di circa 1 cm (chi li ama più grandi può arrivare anche a 2 cm) e poi, con l’aiuto di un coltello, si taglierà questo cordone in tanti pezzettini, sempre delle dimensioni che preferite, ovviamente mantenendosi sempre nel range precedentemente indicato per i cordoni.

Per chi ama soddisfare anche gli occhi oltre al palato consiglio una “rimodellata” con le mani un poco in modo da ottenere degli struffoli belli rotondi.

È particolare da non trascurare, soprattutto in ricette come questa che presentano molte varianti regionali, familiari e personali, con ognuno di noi convinto che i “propri” struffoli siano quelli autentici.

3. Il miele

Il miele per millenni è stato l’unico dolcificante noto e sfruttato dall’uomo, venendo usato a volte come conservante grazie all’alta concentrazione di zucchero che lo rende un ambiente ostile per i batteri.

Come ci ricorda il prof. Bressanini – Esistono più di 16.000 specie di api, ma non più di una decina, oltre alla più diffusa Apis mellifera, è in grado di produrre il miele. Le api raccolgono il nettare dai fiori di varie piante: un liquido contenente zuccheri, amminoacidi, minerali e altre sostanze. La composizione esatta del nettare, e quindi il tipo di zuccheri contenuti, dipende da molti fattori: primariamente dal tipo di pianta scelta dall’ape per la sua raccolta, ma anche dalle condizioni ambientali.

Sappiamo, e ve ne abbiamo fornito testimonianza, che la composizione del nettare influisce moltissimo sull’aroma e sul sapore che avrà il miele prodotto dalle api, e che possiamo avere aromi, colori, consistenze, sapori e caratteristiche estremamente diversi, così come vi abbiamo sottolineato l’importanza dei piccoli produttori.

Una delle più importanti funzioni del miele è quella antibatterica e antibiotica: molti tipi di miele contengono notevoli quantità di perossido di idrogeno, cioè di acqua ossigenata, la stessa che si usa di solito per disinfettare le ferite. Le alte temperature cui viene sottoposto il miele durante la pastorizzazione neutralizzano alcune sostanze benefiche: per ottenere il massimo effetto battericida, l’ideale è il miele grezzo, non trattato.

A seconda del tipo di miele cambiano anche le proprietà terapeutiche: il miele di acacia agisce positivamente sull’apparato digerente, il miele di bosco è indicato negli stati influenzali, il miele di arancio ha proprietà cicatrizzanti, il miele di girasole è antinevralgico, febbrifugo, consigliato contro il colesterolo. Ancora, il miele di erica è ad azione antireumatica, antianemica, il miele di tiglio seda i dolori mestruali, è calmante, diuretico e digestivo, mentre il miele millefiori ha un’azione disintossicante sul fegato.

Ma veniamo a noi: è importante, così come la dimensione degli struffoli, che il miele sia abbondante, copioso, pena la cattiva riuscita del risultato finale.

In sua mancanza, questo dolce (che qui, avrete notato, è basato su un impasto poco zuccherato) non sarebbe lo stesso.

4. La frittura

Qui dovremo friggere, a testimonianza della “napoletanità” della ricetta.

Ed useremo, come indicato, olio di semi di arachide.

E qui partiranno di sicuro gli strali dei “puristi”, di quelli che se è fritto non mangiano nulla, per alcuni versi uniti agli “pseudo-tecnici”, quelli che con una buona dose di sicumera liquideranno la cosa con la frase “basta usare l’olio extra vergine d’oliva che ha il punto di fumo più alto”.

Indubbiamente non esiste un tipo di cottura che metta maggiormente a dura prova la stabilità di un olio.

Quando lo riscaldiamo ad alte temperature l’esposizione all’ossigeno dell’aria e la presenza del cibo possono innescare velocemente un processo di degradazione ossidandolo e formando delle sostanze nocive.

Sappiate che molto stabili sono gli oli contenenti molti grassi saturi, come l’olio di palma o lo strutto. Sappiamo già che il loro uso deve essere comunque limitato perché un eccesso può avere conseguenze negative sulla salute.

Sappiate anche che scaldando un olio ad una certa temperatura comincerà a produrre fumo in modo continuo, ben prima che inizi a bollire. A questa temperatura, chiamata “punto di fumo”, si producono dei fumi tossici contenenti sostanze nocive come l’acroleina.

Insomma è importante friggere in maniera corretta, e non osservare una dieta basata sulla frittura.

E veniamo all’olio extra vergine d’oliva.

La temperatura tipica di una frittura è di circa 180º C.

Qui potremo essere più “dolci” (160º/165º sarà perfetto), ma sappiate che a temperature troppo basse il cibo si impregna di olio mentre a temperature maggiori di 180º alte rischia di bruciare velocemente e quindi usare olio con un punto di fumo superiore alla temperatura di frittura.

Spesso sentiamo e leggiamo sul web che l’olio extravergine di oliva ha un punto di fumo alto ma questo non è assolutamente vero.

Questo perché, in generale, più un olio è raffinato (ovvero trattato dopo la spremitura del frutto o del seme), quindi contiene meno sostanze diverse dai trigliceridi, e più è alto il suo punto di fumo.

Le impurezze dell’olio che più influenzano il suo punto di fumo sono gli acidi grassi liberi, non legati alla glicerina.

L’olio extra vergine di oliva è ottenuto per estrazione meccanica e non viene sottoposto a processi di raffinazione. Quindi contiene una piccola quantità di acidi grassi liberi e una serie di altre impurezze che possono abbassare notevolmente il punto di fumo.

Insomma è impossibile definirlo in maniera assoluta: oli evo provenienti da zone diverse, colture diverse e terreni diversi daranno luogo a prodotti differenti, con acidità e punto di fumo anche distanti.

Olio evo con bassa acidità? Il punto di fumo può superare i 190°C e potrebbe andare bene per friggere con le dovute attenzioni.

Acidità elevata? Non pensateci neanche, il punto di fumo può scendere di molto al di sotto dei 180° e quindi renderlo per niente adatto alla frittura.

Insomma, per usare l’olio extra vergine d’oliva in frittura dovreste conoscerne completamente le caratteristiche, e forse avere anche le analisi complete.

Perché un mito lo devo sfatare: l’acidità non si può percepire al palato e quella “pungenza” di alcuni oli extravergini è causata dai polifenoli, che tra l’altro sono proprio quelle preziose molecole antiossidanti che rendono più stabile l’olio in fritture prolungate.

Quindi? Utilizziamo in frittura l’olio di arachidi, il cui punto di fumo supera i 210ºC.

5. La preparazione

Impastiamo tutti gli ingredienti nella planetaria per pochi minuti.

Punti d’attenzione:

  • useremo una farina debole, quella per torte andrà benissimo;
  • il liquore all’anice potrà essere sostituito dal rum o da limoncello a seconda dei gusti;
  • opzionali sono la scorza di un limone o quella di un mandarino non trattati.

Trasferiamo l’impasto ottenuto su una spianatoia con poca farina, rimaneggiamolo leggermente formando un palla e lasciamolo riposare almeno per 30 minuti in luogo fresco coprendo con la pellicola.

Trascorso il tempo di riposo prendiamo l’impasto, dividiamolo in 4-5 palline più piccole e con l’aiuto di poca farina tiriamo i filoncini di pasta per poi formare dei tocchetti di un centimetro.

Rimodelliamo con le mani i vari pezzettini in modo da ottenere gli struffoli abbastanza rotondi.

Prendiamo una pentola per friggere con i bordi abbastanza alti, versiamo l’olio e portiamolo a temperatura (non superiamo in alcun caso i 170°, controllando con un termometro da cucina).

Punto d’attenzione: prima di friggere, con l’aiuto di un setaccio eliminiamo la farina in eccesso: è lei che provoca la schiuma e fa bruciare più in fretta l’olio.

Quando l’olio avrà raggiunto la temperatura poniamo pochi struffoli alla volta su una schiumarola  ed adagiamoli nell’olio; scenderanno al fondo per qualche istante, ma niente paura, risaliranno in superficie in breve tempo.

Punto d’attenzione: gli struffoli napoletani cuociono in pochissimo tempo (meno di un minuto), teniamoli sotto controllo per evitare che scuriscano troppo.

Friggiamo gli struffoli pochi alla volta anche per evitare che la temperatura dell’olio si abbassi.

Dopo averli fritti, poniamoli su un contenitore (o un piatto) ampio ricoperto con dei fogli di carta assorbente per raccogliere l’olio in eccesso e rendere asciutti i nostri struffoli.

A questo punto scaldiamo, in un tegame ampio, il miele e, quando si sarà sciolto aggiungiamo – rigorosamente a fuoco spento – gli struffoli, mischiando con delicatezza.

Solo a miele quasi raffreddato, per evitare la perdita di colore, aggiungiamo i confetti e i diavulille (letteralmente: piccoli diavoli; in realtà minuscoli confettini colorati in varî colori, ma prevalentemente in rosso fuoco, donde popolarmente gliene derivò il nome di diavulillo plur.: diavulille).

Quando tutto sarà ben condito dal miele mettiamo gli struffoli su un piatto da portata creando la montagnola o la caratteristica ciambella utilizzando un barattolo di vetro vuoto posizionato al centro del piatto, guarnendo infine con altre palline colorate e la frutta candita.

Una volta solidificato il miele, togliamo delicatamente il barattolo dal centro del piatto.

Buon appetito!

[Link: affrescodellalinguaitaliana.com; cookist.it; aifb.it; struffoli.it; cure-naturali.it; saggieassaggi.it; bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it. Immagini: Scatti di Gusto, Antonio Confuorto]

Struffoli

La ricetta del dolce napoletano
Keywords: cucina napoletana, Natale, ricette di Natale

Preparazione: 40 minuti

Tempo totale: 1 ora

Portata: Dessert

Cottura: 20 minuti

Porzioni: 10 persone

Cucina: Italiana

Ingredienti

Impasto

  • 500 g farina 00
  • 10 g zucchero
  • 40 g liquore all’anice
  • 150 g strutto
  • 4 uova intere
  • 5 g sale

Condimento e guarnizione

  • 300 g miele di millefiori
  • Diavoletti
  • Cannellini fini
  • Confettini colorati
  • Frutta candita
  • 1 l olio di arachidi

Istruzioni

  • Impastiamo tutti gli ingredienti nella planetaria per pochi minuti.
  • Trasferiamo l’impasto ottenuto su una spianatoia con poca farina, rimaneggiamolo leggermente formando un palla e lasciamolo riposare almeno per 30 minuti in luogo fresco coprendo con la pellicola.
  • Trascorso il tempo di riposo prendiamo l’impasto, dividiamolo in 4-5 palline più piccole e con l’aiuto di poca farina tiriamo i filoncini di pasta per poi formare dei tocchetti di un centimetro.
  • Rimodelliamo con le mani i vari pezzettini in modo da ottenere gli struffoli abbastanza rotondi.
  • Prendiamo una pentola per friggere con i bordi abbastanza alti, versiamo l’olio e portiamolo a temperatura (non superiamo in alcun caso i 170°, controllando con un termometro da cucina).
  • Quando l’olio avrà raggiunto la temperatura poniamo pochi struffoli alla volta su una schiumarola ed adagiamoli nell’olio; scenderanno al fondo per qualche istante, ma niente paura, risaliranno in superficie in breve tempo.
  • Friggiamo gli struffoli pochi alla volta anche per evitare che la temperatura dell’olio si abbassi.
  • Dopo averli fritti, poniamoli su un contenitore (o un piatto) ampio ricoperto con dei fogli di carta assorbente per raccogliere l’olio in eccesso e rendere asciutti i nostri struffoli.
  • A questo punto scaldiamo, in un tegame ampio, il miele e, quando si sarà sciolto aggiungiamo – rigorosamente a fuoco spento – gli struffoli, mischiando con delicatezza.
  • Solo a miele quasi raffreddato, per evitare la perdita di colore, aggiungiamo i confetti e i diavulille (letteralmente: piccoli diavoli; in realtà minuscoli confettini colorati in varî colori, ma prevalentemente in rosso fuoco, donde popolarmente gliene derivò il nome di diavulillo plur.: diavulille).
  • Quando tutto sarà ben condito dal miele mettiamo gli struffoli su un piatto da portata creando la montagnola o la caratteristica ciambella utilizzando un barattolo di vetro vuoto posizionato al centro del piatto, guarnendo infine con altre palline colorate e la frutta candita.
  • Una volta solidificato il miele, togliamo delicatamente il barattolo dal centro del piatto.

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